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Lavoro e solidarietà

Le cravatte artigianali di Sarsina di Viletta Righi sbarcano ad Amman, cucite dalle giovani fuggite da Mosul

Da Sarsina ad Amman, capitale della Giordania, per insegnare l’arte del confezionamento delle cravatte in maniera artigianale. Dal laboratorio di piazza San Francesco, che proprio quest’anno ha chiuso la produzione dopo una storia pluridecennale, la qualità e lo stile Made in Italy, che da sempre hanno caratterizzato Regal Cravatte di Viletta Righi, sono sbarcate in Medio Oriente.

Le cravatte artigianali di Sarsina di Viletta Righi sbarcano ad Amman, cucite dalle giovani fuggite da Mosul

Da Sarsina ad Amman, capitale della Giordania, per insegnare l’arte del confezionamento delle cravatte in maniera artigianale. Dal laboratorio di piazza San Francesco, che proprio quest’anno ha chiuso la produzione dopo una storia pluridecennale, la qualità e lo stile Made in Italy, che da sempre hanno caratterizzato Regal Cravatte di Viletta Righi, sono sbarcate in Medio Oriente. A beneficiarne alcune alunne speciali: 16 ragazze irachene, giovani cristiane fuggite da Mosul per via delle persecuzioni dello Stato islamico. Un’esperienza, quella di insegnare un mestiere, che per Viletta Righi si è trasformata in un “grande dono”. Grazie anche, come spesso succede in questi casi, “a un incontro speciale”. Il riferimento è ad abuna Mario Cornioli, sacerdote italiano (foto in basso) originario di San Sepolcro (Ar), recatosi, all'inizio dell'estate scorsa  a Sarsina proprio per incontrare Viletta. La vicinanza tra Sarsina e San Sepolcro, con lo zampino di alcuni amici comuni, ha fatto incrociare le vite di Viletta e abuna (padre, don, nei paesi arabi) Mario da anni impegnato in Medio Oriente a sostegno di rifugiati e profughi in fuga dalla guerra con progetti di accoglienza.

Uno di questi è attivo ad Amman, attraverso un atelier dove ragazze irachene, in attesa di ottenere il visto per poter andare negli Stati Uniti o in Canada, hanno imparato a cucire abiti, gonne, foulard, camicie. Confezionano vestiti e oggettistica varia che poi rivendono nei bazar, nei mercatini, e alla folta comunità italiana che popola la capitale giordana.

“Ho accettato la proposta di abuna Mario in un momento particolare della mia vita, tra la chiusura della mia attività e un rapporto con la fede da ricostruire. Sono tornata a casa cambiata. Quello che ho ricevuto è stato molto di più di quello che ho dato”, racconta Viletta che mentre parla, ancora emozionata, scorre le foto e i messaggi delle ragazze irachene che la cercano continuamente.

Dalla Romagna Viletta, oltre a una fidata collaboratrice ed ex dipendente, ha portato con sé tessuti, aghi, ferro da stiro, cotoni, forbici, interni. In pratica tutto il necessario per assemblare una vera cravatta artigianale trasferendo alle ragazze quella cura dei particolari, quella precisione nella lavorazione dei tessuti che hanno reso il laboratorio di Sarsina apprezzato in tutta Italia e dal quale sono uscite cravatte vendute anche in prestigiose boutique di New York. Ma non è stato solo un lavoro. Non in quel contesto, almeno. L’insegnamento dell’arte della sartoria è stata una parte, importante, di un’esperienza più grande, più piena. Con le ragazze (16, 18 e 20 anni) si è instaurato un rapporto cordiale, amichevole, affettuoso. “Mi ha colpito la loro vivacità – continua Viletta -. Nonostante le loro storie difficili, di totale sradicamento dalla propria terra, hanno manifestato una gioia di vivere contagiosa. Le ho trovate molto ironiche, con tanta voglia di ridere e scherzare. In questo non molto diverse dalle coetanee occidentali tra decine di selfie, trucchi e schiamazzi. E con una religiosità molto spiccata. Nella loro vita è sempre presente l’immagine di Cristo”.

La vita per le giovani ragazze irachene non è affatto facile, neanche in Giordania. “Qui vivono in una sorta di limbo – spiega Viletta -. La legge locale, in attesa dell’acquisizione dei visti per l’espatrio, non consente loro di lavorare, né di studiare. Non possono fare nulla. Con il rischio che cadano nella noia, che si abbandonino all’avvilimento e a uno stato di sconforto. Il progetto cui stanno partecipando è importantissimo perché rappresenta una sorta di riscatto sociale. Lavorando si sentono importanti, imparano un mestiere. Rappresenta un motivo di speranza, affinchè possano guardare al futuro con fiduciosa attesa”.

Tutto ciò che le ragazze creano viene venduto, e il ricavato distribuito tra loro. “E’ una giusta ricompensa per il lavoro che svolgono. Sono risultate tutte ottime lavoratrici – dice Viletta –. Durante la nostra permanenza (40 giorni, ndr) ne abbiamo realizzare 250”. Hanno appreso velocemente il mestiere di produrre e confezionare una cravatta artigianale a mano. Abbiamo cercato di insegnare loro anche l’importanza della concentrazione, l’attenzione a non distrarsi. Gli è stato insegnato l’ordine, a tenere pulito l’ambiente e il rispetto delle cose”.

Al progetto “Rafedin” (che significa “i due fiumi”, il Tigri e l’Eufrate che bagnano l’Iraq) dal 4 novembre scorso stanno contribuendo anche le cravatte di Viletta Righi da Sarsina, la cui vendita aiuterà le ragazze i cui capi sono riconoscibili dal marchio “Made by Iraqi girls”.

don mario
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