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Siria: Usa, Gran Bretagna e Francia attaccano nella notte

Colpiti un centro di ricerca, un presunto deposito di armi chimiche e un impianto di stoccaggio. Padre Karakach, parroco di Damasco: “Pregare per la pace ora più che mai”

AgenSIR

(da New York)

Sono le 21,06 quando il presidente Donald Trump annuncia al suo Paese che pochi minuti prima gli Stati Uniti, in un’operazione congiunta con Francia e Regno Unito, hanno sferrato un attacco di precisione contro la Siria. Il commander in chief spiega agli americani le ragioni della sua scelta, nonostante qualche giorno prima avesse parlato di ritiro delle truppe Usa dal territorio siriano. “Sabato il regime di Assad ha di nuovo usato armi chimiche per massacrare civili innocenti, nella città di Douma. Queste non sono le azioni di un uomo, sono crimini di un mostro” attacca duramente Trump che giustifica il bombardamento alleato come “un forte deterrente contro la produzione, la diffusione e l’uso di armi chimiche. Stabilire questo deterrente è un interesse vitale per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. In questa precisazione c’e’ la giustificazione presidenziale di un’azione senza il consenso del Congresso. La Costituzione statunitense, infatti, nell’articolo I conferisce al Congresso i poteri di “dichiarare guerra” e finanziare tutte le forze armate impegnate in operazioni belliche, ma l’articolo II conferisce al presidente il “potere esecutivo” e lo rende “comandante in capo” dell’esercito, un potere che parecchi presidenti, e oggi anche Trump, hanno interpretato per usare l’esercito senza l’espressa autorizzazione delle due Camere. Intanto, nei suoi 7 minuti, il presidente torna a scagliarsi contro Russia e Iran, “due tra i governi maggiormente responsabili del sostegno, dell’equipaggiamento e del finanziamento del regime criminale di Assad”. E li aggredisce verbalmente se vogliono essere “nazioni associate all’omicidio di massa di uomini, donne e bambini innocenti” e se vogliono continuare a sostenere “Stati canaglia, brutali tiranni e dittatori assassini”. Nel mirino del fuoco di parole finisce anche Putin, che “aveva promesso nel 2013 al mondo che avrebbe garantito l’eliminazione delle armi chimiche della Siria”.

“Il recente attacco di Assad – e la risposta di oggi – sono il risultato diretto del fallimento della Russia nel mantenere questa promessa. La Russia deve decidere se continuare su questa strada oscura o se si unirsi alle nazioni civili come forza per la stabilità e la pace”. Infine, il presidente elenca i suoi successi nello sdradicare l’Isis dal territorio che aveva occupato in Siria, le rafforzate alleanze con i Paesi del Golfo persico e con l’Egitto, i tentativi di migliorare il Medio Oriente, “un posto travagliato, dove gli Stati Uniti resteranno un partner e un amico”, ma “il destino della regione resta nelle mani della sua stessa gente”. In conclusione, invita gli americani alla preghiera per i propri militari e per la propria missione, ma anche per “coloro che soffrono in Siria perché Dio guidi l’intera regione verso un futuro di dignità e di pace”. Il presidente rassicura sul fatto che obiettivi dell’attacco sono stati un centro di ricerca scientifica nella capitale siriana, un deposito di armi chimiche e un impianto di stoccaggio delle stesse a pochi chilometri da Homs. La tv di Stato siriana annuncia che i missili su Homs sono stati intercettati e distrutti, ma almeno tre persone sono rimaste ferite. Intanto l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, su Facebook annuncia che ci saranno “conseguenze” dopo gli attacchi e aggiunge che “insultare il presidente della Russia è inaccettabile e inammissibile”, e gli Stati Uniti “non hanno alcun diritto morale di incolpare altri Paesi”, possedendo essi stessi un vasto arsenale di armi chimiche.

***

“Siamo stati svegliati alle 4 di notte dal sibilo dei missili e abbiamo capito che gli attacchi erano in corso. Si sono udite delle esplosioni nei dintorni di Damasco. Qui al centro per ora tutto è tranquillo ma la gente è preoccupata per il futuro. La popolazione vuole vivere in pace e non sotto l’incubo delle bombe”. Così padre Bahjat Elia Karakach, francescano della Custodia di Terra Santa, superiore del convento dedicato alla conversione di san Paolo, la parrocchia principale di rito latino della Capitale, a Damasco, racconta al Sir l’attacco congiunto di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia sferrato nella notte contro tre obiettivi a Damasco e Homs. Si tratterebbero di un centro di ricerca nella capitale siriana, di un impianto di stoccaggio di armi chimiche e di una struttura contenente armi chimiche ed equipaggiamenti, entrambi a ovest di Homs. La risposta militare di Trump al presunto utilizzo di armi chimiche contro la città siriana di Douma, che gli Usa hanno da subito attribuito al regime di Bashar al Assad, non si è fatta attendere oltre. “Sapevamo che esisteva l’intenzione di bombardare da parte degli Usa dopo il presunto attacco chimico alla Ghouta orientale ma la speranza era riposta in un’indagine oggettiva sull’uso di armi chimiche e che per questo non ci sarebbero stati lanci di missili”, dichiara il frate che spera “non si ripeta quanto già avvenuto in Iraq che fu invaso nel 2003 (da una coalizione formata per la maggior parte da Stati Uniti e Regno Unito, e con contingenti minori di altri Stati, ndr) perché il regime di Saddam Hussein era stato accusato di possedere armi di distruzione di massa. Armi che non furono mai trovate. La volontà è distruggere la Siria. Il progetto va avanti con queste bombe. Non ci resta che pregare per la pace ora più che mai”.

Fonte: Sir
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