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Il Sessantotto secondo Galli della Loggia: "L'identità culturale italiana sostituita da spiriti supereuropeisti"

A distanza di cinquant’anni il Sessantotto rappresenta una data importante per la storia italiana, una sorta di crocevia cronologico e temporale che traccia una linea di confine tra il dopoguerra e gli anni del progresso

Foto Sandra e Urbano

“Parlare del 1968 significa scrivere la propria autobiografia. La nostra generazione è stata la più fortunata in assoluto della storia dell'Italia unita. Abbiamo vissuto meglio come nessun altro italiano ha fatto prima di noi, ma mi domando se siamo stati capaci di restituire questo debito che abbiamo contratto con la storia. Quesito che spesso resta orfano perché – ammettiamolo – non siamo stati grandi debitori. Forse, però, facciamo ancora in tempo”. La storia di ciascun italiano prima o poi incontra la storia dell’Italia, ed è questo, in sintesi, il pensiero dello storico Ernesto Galli della Loggia, professore emerito di Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa ed editorialista del “Corriere della Sera” arrivato a Cesena, presso la sede della Fondazione Cassa di Risparmio, per tenere una conferenza dal titolo “Cinquant’anni fa: il Sessantotto”.

Leggere il 1968 oggi non è poi così difficile essendo stata una rivoluzione culturale, prima che politica o ideologica come si vuol far credere, che ha determinato la storia a venire dell’Italia condizionando – non positivamente – la relazione fra gli italiani e lo Stato. “La cultura del ‘68 – ha spiegato Galli della Loggia – considerava le Istituzioni come una gabbia. Lo spirito antistituzionale odierno è frutto di quegli anni, tanto che gli uomini contemporanei sono convinti che possa esistere una democrazia senza Stato”. Per lo storico, infatti, la dimensione dello Stato incarna un punto critico della politica italiana, un nodo che il Sessantotto non ha aiutato a sciogliere. “Si tratta – ha ammonito – di una grande défaillance politica”.

A distanza di cinquant’anni il Sessantotto rappresenta una data importante per la storia italiana, una sorta di crocevia cronologico e temporale che traccia una linea di confine tra il dopoguerra e gli anni del progresso caratterizzati da un americanizzazione della cultura italiana. “Rievocando il ‘68 si racconta la storia della nostra generazione: nata con il nascere della Repubblica fino all’attuale neonata Legislatura. Dal 1945 al 1962 gli italiano hanno potuto assistere ad anni di straordinario progresso economico in cui in Italia si registrarono tre cose assieme: regime democratico, grande sviluppo economico, welfare state”. Tutti mutamenti che, stando alla tesi dell’esperto, assumono una luce straordinaria per la rapidità della loro concretizzazione ma che restano comunque oscurati da un processo di americanizzazione prima e di europeizzazione della cultura, dopo. “In tutti gli altri paesi d'Europa avvengono nell'arco di un secolo, alle volte”, ha infatti dichiarato riconoscendo negli anni ’60 una grande svolta storica “che portò alla fine della miseria” con la “fine dell'analfabetismo di massa” e con un “indebolimento della Chiesa cattolica che fino ad allora era stato un punto di riferimento per l’identità culturale di ciascuno”.

“Questa grande trasformazione materiale e sociale è stata la premessa del ‘68 perché ha dato la possibilità di esplosione di tutta quella sfera di pulsioni emotive soppresse fino ad allora. Per queste ragioni ritengo che non si sia trattato di una rivoluzione politica o ideologica, ma culturale”, ha proseguito Galli della Loggia ammettendo, tuttavia, che in quegli anni di straordinario clamore socio-culturale qualcosa andò perso con un totale abbandono della tradizione culturale del Paese. “Essere moderni equivalse a essere un po' meno italiani e più inglesi. Non è un caso che oggi il nostro destino sembra essere in Europa ai danni dalle dimensione nazionale. “Oramai gli italiani sono i più supereuropeisti di tutti”, ha concluso.

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