Editoriale
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Paese spaccato in due. E ora?

È la nuova realtà con la quale siamo chiamati a confrontarci. Le elezioni politiche di domenica scorsa hanno modificato in maniera radicale la geografia politica italiana. Non esiste più nulla di precostituito. Non esistono più le regioni ‘rosse’.

Paese spaccato in due. E ora?

È la nuova realtà con la quale siamo chiamati a confrontarci. Le elezioni politiche di domenica scorsa hanno modificato in maniera radicale la geografia politica italiana. Non esiste più nulla di precostituito. Non esistono più le regioni ‘rosse’.

La stessa Romagna (per la prima volta Cesena non ha parlamentari, cfr pagine 4 e 5 edizione cartacea della settimana) è diventata un territorio appannaggio del centrodestra, con il Movimento 5 stelle che sopravanza quasi ovunque il Partito democratico, il vero sconfitto di questa tornata.

Matteo Renzi ha dilapidato un patrimonio immenso. Solo poco tempo fa era considerato il salvatore della patria. Poi, anche per colpa di molti errori suoi, in breve tempo ha demolito quanto aveva costruito.

La storia recente del nostro Paese non ha mai premiato chi governa. Anche ai tempi della Dc è sempre capitato. Ora i fenomeni si sono amplificati e velocizzati. Prima Segni, poi Berlusconi, Prodi, Monti e infine Renzi sono stati tutti vittime di questo assunto molto italiano: chi governa è da cambiare prima possibile, anche fosse arrivato solo ieri.

Il voto del 4 marzo ci consegna un Paese spaccato in due. Il prospero e ricco nord si affida al centrodestra guidato da un Salvini che sta estremizzando la Lega su posizioni più destrorse. La riduzione delle tasse, le battaglie contro l’immigrazione e in favore della sicurezza dei cittadini gli hanno consentito di superare di slancio Forza Italia.

Nel centro e nel sud, a parte qualche enclave rimasta legata al Pd nelle regioni un tempo roccaforti della sinistra e alcune zone andate al centrodestra, il Movimento 5 stelle guidato oggi da Luigi Di Maio ha fatto il pieno di voti. In alcuni casi le affermazioni sono state travolgenti, come nessuno si sarebbe potuto immaginare alla vigilia del voto.

Ora l’incognita è il prossimo futuro. Chi ha vinto, così vuole il gioco democratico, ha l’onore e l’onere di cercare alleanze per formare un governo, visti i numeri che non assegnano maggioranze in grado di sostenere un esecutivo senza dover cercare appoggi esterni. Sarà un severo banco di prova per le due formazioni politiche uscite vincitrici dalle urne. Un conto è enunciare ogni giorno proclami e slogan, un altro è assumersi responsabilità dirette nella guida del Paese.

Merita un’ultima parola la presenza dei cattolici. In un momento storico in cui l’area moderata si è frantumata verso posizioni populiste, anche le formazioni di ispirazione cristiana faticano nel farsi riconoscere. È un segno dei tempi del quale prendere atto. Ciò non ha nulla a che vedere con l’impegno di ciascuno di noi. Come ricordava il sociologo Mauro Magatti lunedì sera alla Scuola diocesana di Dottrina sociale della Chiesa, “da soli non facciamo nulla, ma la responsabilità rimane personale”.

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