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Pio VI e il tormentone per il “suo” Largo

È vero o no che papa Braschi fu un tipaccio, nepotista, che badava solo al suo successo personale?

Pio VI e il tormentone per il “suo” Largo

In questo appuntamento numero 999 vorrei togliermi una “franca”. Ho letto negli ultimi giorni la polemica sollevata dalle colonne locali del “Carlino” da parte del professor Mario Guidazzi. Già vice sindaco e repubblicano doc, si scandalizza per l'intitolazione da parte dell'Amministrazione comunale, su proposta della Diocesi aggiungo io, del nuovo “Largo Pio VI”. A detta del prof ci si dovrebbe indignare per aver dedicato uno spazio della nostra città a un Papa che ha sottoscritto un provvedimento antisemita.

Non starò di certo qui a entrare nella specifica questione. Non ne ho le competenze storiche e neppure è mio desiderio alimentare un confronto che lo stesso quotidiano ha dichiarato chiuso, viste anche le repliche, per parte cattolica e non religiosa (faccio presente al collega Saverio Migliari) di Arturo Alberti e Corrado Iacuzzi. Loro ne sanno certamente più di me. Quindi mi astengo su questo versante.

Vorrei invece porre all'attenzione del prof il libretto redatto dalla Santa Sede in occasione della recente visita di papa Francesco a Cesena. Nella breve descrizione della biografia del Pontefice con natali cesenati, neppure in Vaticano si sono nascosti di fronte al nepotismo di Pio VI e ad altre sue manie di grandezza che oggi fanno storcere il naso a più di qualcuno. Al professore sono di certo sfuggite anche le paginate redatte dal “nostro” professor Marino Mengozzi che ha illustrato in lungo e in largo Cesena e i suoi Papi, cercando ogni volta di contestualizzare certi eventi che letti con gli occhi del 2017 sembrano del tutto lontani dalla fede cattolica e da un certo diffuso buon senso.

Allo stesso professor Guidazzi credo sia sfuggita la pagina redatta dal giornalista dell'agenzia Sir, Daniele Rocchi, su Giovanni Angelo Braschi e la città di Subiaco che ancora oggi lo ricorda con affetto e stima per il gran bene lì diffuso prima da abate e poi alla guida della Chiesa cattolica. Un ricordo che rimane vivissimo, come il bellissimo arco trionfale (foto) eretto in suo onore manifesta a tutti, nonostante i secoli trascorsi. Sono numerose le testimonianze che lo ricordano, come del resto accade anche a Cesena e in altre parti d'Italia, ovviamente Roma compresa.

Che dovremmo fare, dunque? Togliere la statua dal palazzo del Ridotto? Cancellare l'iscrizione su porta Eugenio Valzania, meglio nota come porta Santi? Dovremmo vergognarci di essere cesenati perchè dalla stessa città proviene un tipaccio come papa Pio VI Braschi?

Ovvio che le domande da me poste sono del tutto retoriche. Abbiamo scritto e ricordato da mesi anche i lati meno edificanti del pontificato di Pio VI, accanto ai meriti e alle sofferenze da lui vissute, di certo di non poco conto. Siccome il tormentone andava avanti da tempo, prima della visita del Papa mi volli togliere il dubbio che iniziava a insidiare anche il sottoscritto. Bypassando i consulti sul territorio, posi la ricorrente domanda a un amico/storico/studioso di livello nazionale e anche oltre: “Carissimo, è vero o no che papa Braschi fu un tipaccio, nepotista, che badava solo al suo successo personale?”. Riassumo il nocciolo del mio quesito. “A quei tempi – fu al telefono la risposta secca e lapidaria – il nepotismo era una necessità per poter governare”.

Una debolezza del Papa cesenate? Certamente, come non ci siamo mai nascosti. Ma da qui a continuare ad accusarlo per atti che oggi non riusciamo più a leggere con le lenti di quei tempi ce ne passa di strada. Questo solo per dire che può apparire troppo semplicistico gettare strali dal vago sapore anticlericale. La storia, mi consento questo ardire anche davanti al prof al quale indirettamente qui mi rivolgo con simpatia e stima, è più complessa e variegata di come noi la vorremmo immaginare.

(999)

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