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Chiara Guidi (Societas): "Attraverso il teatro, tradurre la complessità della parola in azione"

"Non cerco un teatro che intrattenga il pubblico - dice la Guidi - ma che gli ponga delle domande: sull’uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte. Ora il Teatro Comandini è chiuso e credo sia interessante ritrovarci insieme di fronte a un muro, denso di storia, che ci interroga chiuso nel suo silenzio"

Chiara Guidi (Societas): "Attraverso il teatro, tradurre la complessità della parola in azione"

Abbiamo incontrato la regista/attrice/artista Chiara Guidi della Societas per parlare dell'attività rivolta agli studenti durante questa estate dopo il lockdown (cfr pezzo a fianco). È stata anche l'occasione per porre alcune domande sul ruolo e il valore del teatro oggi. Arte e non solo, per chi cerca di farne una ragione di vita, oltre che di professione di alto livello. 

I giovani dopo il lockdown. Perchè proporre loro un laboratorio teatrale allo sferisterio? Quali i significati?

Scegliere di fare esercizi di teatro con i giovani in un  luogo particolare della città, lo Sferisterio della Rocca, significa, per me, riprendere in mano un’idea che dal 2011 mi ha spinto a creare dei laboratori con gli studenti delle scuole superiori. Ora il Teatro Comandini è chiuso e credo sia interessante ritrovarci insieme di fronte a un muro, denso di storia, che ci interroga chiuso nel suo silenzio. Ritrovarci per continuare quell’azione che già prima del lockdown cercava, attraverso il teatro, la complessità della parola per tradurla in azione. 

Che significato hanno oggi i valori? Il silenzio?

La pausa è un suono. Ha un valore. E la parola che viene interpretata, suonata dalla voce, si affida al silenzio di colui che ascolta. Quel silenzio ha un valore.

L’attore, attraverso il lavoro di interpretazione, si rivolge ad un pubblico.

Ogni spettacolo porta con sé un’idea di pubblico. Il pubblico ha un valore. Che pubblico cerchiamo? In platea chi ascolta ha una sensibilità che si unisce all’intelletto: io credo nella responsabilità del pubblico, nel suo esserci e nel fatto che se non ci fosse non ci sarebbe il teatro. Non cerco un teatro che lo intrattenga ma che gli ponga delle domande: sull’uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte. 

Nella nostra società in cui non si sta un momento da soli, si è ancora capaci di ascoltare? Il teatro in questo, e le sue proposte, possono aiutare? In che modo?

Chi sale sul palcoscenico può recitare se armonizza la propria singolare presenza non solo con gli altri attori ma con tutte quelle presenze che vivono con lui sulla scena: le luci, lo spazio, gli oggetti, i suoni, ecc…

L’attore deve ascoltare per poter suonare.

Nell’armonia c’è sempre una lotta che raggiunge l’unità componendo elementi molto diversi tra loro. L’armonia non annulla le differenze, ma le trasforma in poesia. In fondo, come diceva Bresson, non c’è arte senza trasformazione. 

Scuola e arte possono dialogare? Come si può e si riesce a lavorare con gli adolescenti?

Credo ci sia molta consonanza tra scuola e teatro. Per questo, da alcuni anni, condivido con i docenti quelle domande che la pratica artigianale del teatro suscita, attraverso corsi di aggiornamento per ogni ordine di scuola. Il linguaggio teatrale come il linguaggio scolastico si pone di fronte alla complessità della realtà per cercare di raccontarla. E perché accada occorre fare esercizio. La parola va ascoltata, poi cercata, scelta, raccolta. Lo faremo allo Sferisterio davanti a quel muro, alla sua voce. Ci porremo domande e ci affideremo all’intuizione per cercare nella complessità storica di quel muro altre storie. 

I giovani sono attivi, sono attenti e desiderosi di imparare? E di mettersi alla scuola del teatro?

Se tutti vanno a scuola non tutti vanno a teatro. È un gioco che va scoperto e scelto e , come tutti i giochi, attraverso l’artificio, non può che interrogare la vita e restituire la realtà alla realtà.   

Leggere, recitare, ascoltare, sembrano tutti verbi in disuso. Come farli riscoprire e apprezzare? Quali le azioni da mettere in campo?

Il teatro drammatizza ogni azione che si compie: recitare significa ripetere il nome. E’ una parola del vocabolario giuridico: ripetere i nomi in causa.

Ora se salgo su un palco mi assumo la responsabilità della ripetizione di un gesto che decido di compiere di fronte a qualcuno che mi guarda. Non posso non sapere perché sono lì. “Perché lo faccio?” E’ una bella domanda che si prende cura di me e interroga la società dello spettacolo. 

Infine, quali messaggi vuole trasmettere con questi suoi seminari/laboratori? Quale idea vuole fare passare? O meglio, quale moto vorrebbe fare suscitare?

Io cerco il linguaggio del teatro perché spinge l’immagine al di là di se stessa.

Permette di scoprire in un’ immagine tante immagini: simili ma diverse. Voglio cercare in una storia tante storie e per farlo ho bisogno dei bambini, degli insegnanti, degli attori e soprattutto di quei giovani che, attraverso l’arte del racconto, con la loro presenza interrogano questo tempo e questa città.

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