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coronavirus, fase 2

Cisl Romagna: "Scommettere sullo smart working"

Per il segretario generale della Cisl Romagna Francesco Marinelli "é necessaria una definizione contrattuale del lavoro agile"

Francesco Marinelli

Lo smart working è una delle grandi sfide che l’emergenza sanitaria attuale ci impone e che nella fase 2 potrebbe interessare tra i sei e gli otto milioni di lavoratori. Per il segretario generale della Cisl Romagna Francesco Marinelli si tratta di un cambiamento anche culturale.

Dopo il Coronavirus, "il modo di lavorare d’ora in poi non sarà più lo stesso", scrive in una nota Marinelli, secondo cui "il lavoro agile, o “smart working”, che molti credevano impossibile da attuare, oggi è una realtà che coinvolge tutti i settori, dalle piccole alle grandi aziende e non più solo nel pubblico impiego. Come Cisl lo abbiamo sempre sostenuto fin dalla sua istituzione, ma pochi anzi pochissimi ci credevano davvero, perché grande era il salto soprattutto culturale ma anche tecnologico che andava fatto. La pandemia ha costretto tutti noi a restare a casa per evitare il contagio e ha costretto le aziende e i lavoratori a superare diffidenze e paure".

"In questa fase di emergenza - prosegue Marinelli - c’è stata una riscoperta importante per molte imprese che hanno adottato questa modalità di lavoro e che ha portato benefici sia per i lavoratori sia per la produttività delle aziende. Una forma flessibile di organizzazione del lavoro introdotta nella legislazione italiana alcuni anni fa, con l’obiettivo di facilitare l’equilibrio tra lavoro e vita privata dei dipendenti, nonché di ridurre i costi del lavoro e di conseguenza aumentare l’efficienza e la produttività".

"Prima dell’emergenza Covid-19 - scrive il segretario Cisl - si stima fossero 570 mila i lavoratori in Italia che lavoravano da casa. Durante l’emergenza i lavoratori hanno superato i due milioni. Anche nel nostro territorio romagnolo tante imprese, circa un 30 per cento hanno implementato nell’organizzazione del lavoro la modalità del lavoro agile, ma in molti casi non si è trattato di un vero smart working ma di telelavoro e quindi occorre fare chiarezza".

Per Marinelli "quello a cui dobbiamo tendere non è il lavoro da casa in emergenza, che finirà non appena la diffusione del virus darà tregua, ma bensì al vero e proprio smart working, con regole ben precise per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro. Per fare ciò è importante capire la differenza tra lo smart working, detto anche "lavoro agile", oppure il telelavoro. Nel primo caso è possibile lavorare da dove si vuole, da casa o al parco: è necessario stabilire degli obiettivi concreti e verificabili che il lavoratore deve raggiungere in un determinato periodo; è invece telelavoro quando il lavoratore opera in una sede prestabilita ma diversa rispetto a quella a cui è assegnato, spesso scelto nei casi di disabilità o lontananza dal luogo di lavoro".

"Per lavorare in smart working non basta semplicemente un pc, una webcam o un programma di videoconferenza - sottolinea Francesco Marinelli - ma serve lavorare per obiettivi e non più con tempi e luoghi prestabiliti, il che rende chiaro quanto sia necessaria una sua definizione contrattuale, ad esempio per quanto riguarda la privacy o la sicurezza sul lavoro. È solamente attraverso una disciplina ad hoc e degli accordi sindacali di secondo livello che si potrà davvero gestire questo importante passaggio di cambiamento nell’organizzazione del mondo del lavoro".

"Pertanto - conclude il segretario generale della Cisl Romagna - abbiamo la necessità di consolidare questa modalità di lavoro e chiediamo alle imprese del territorio romagnolo di scommettere su un vero cambiamento, che deve essere prima di tutto culturale per costruire a partire dalla contrattazione aziendale un nuovo orizzonte di tutele per il lavoro agile sul versante dell’organizzazione del lavoro, condizioni ambientali  e di sicurezza, certificazione delle competenze , diritto alla disconnessione e diritto alla formazione".

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