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Coronavirus. La psicologa Montemurro: "Nonostante tutto, oggi ci sentiamo più umani"

"Il tempo si è fermato. Il suo scandire attraverso la routine delle attività quotidiane non esiste più. Il mondo è in stand by - aggiunge la dottoressa -. Le famiglie conflittuali al momento vivono un grande disagio. Ho letto che l’ordine degli avvocati ha segnalato un intensificarsi della violenza domestica"

Foto SIR/Marco Calvarese

Sul delicato periodo di isolamento che tutti stiamo vivendo, abbiamo posto alcune domande alla psicologa e psicoterapeuta Mirella Montemurro che tiene una rubrica mensile, "Psicologia della vita quotidiana", sulla nostra edizione cartacea. 

Dottoressa, quale periodo ci aspetta, in questo ritiro forzato? 

Il tempo si è fermato. Il suo scandire attraverso la routine delle attività quotidiane non esiste più. Il mondo è in stand by. Abbiamo scadenze provvisorie (3 maggio?) che non ci rassicurano sul fatto che, a breve, riprenderemo a vivere normalmente. Ognuno di noi è chiamato a scandire il proprio tempo in modo diverso. Non credo sia un caso che in questi giorni abbia sentito parlare di pensionamento anche a chi ha poco più di 30 anni. Penso che questo momento possa essere paragonato a ciò che prova un essere umano a cui da un momento all’altro cambiano i parametri dello scandire del proprio tempo. Questa persona potrebbe chiedersi come trascorrere le giornate da ora in poi. Quale sia il senso da dare alla propria vita. Proprio in questi giorni mi è ritornato alla mente il film di Sorrentino Youth, che vi invito a guardare. Sorrentino descrive quello che ciascuno di noi può vivere in una situazione di declino, quale è la vecchiaia. Vi sono diversi personaggi; ognuno con caratteristiche diverse. Solo uno, Fred, riuscirà ad affrontarla in modo sano. Affrontare questo periodo, al pari del periodo senile, significa accettare la perdita collegata alle vecchie certezze. Effettuare di fatto un lutto, per poter riprendere in mano la vita con una visione diversa. Meno onnipotente e più consapevole. Continuare a progettare un futuro tenendo conto dei limiti legati alla condizione umana. 

Le famiglie, i bambini... Tutti costretti in spazi ridotti e con pochissime relazioni sociali. Quali sono gli aspetti più problematici da gestire per la gente ritirata in casa? Quali tipi umani sono più in sofferenza? 

Le situazioni più complesse le vivono le persone sole. Come si trascorre il tempo in casa in solitudine? È davvero complicato. Non mi riferisco solo agli anziani, credo che la stessa intensità del disagio la vivano tutte le fasce d’età.

Anche le famiglie conflittuali al momento vivono un grande disagio. Ho letto che l’ordine degli avvocati ha segnalato un intensificarsi della violenza domestica. Credo che questo sia un grande problema. Nella violenza domestica vi è la violenza sui minori, la violenza assistita, la violenza contro le donne. E questo è davvero drammatico.

Anche i bambini stanno accusando il colpo costretti in casa, isolati dal loro entourage relazionale. Tuttavia sono spesso più resilienti rispetto agli adulti; dotati di straordinarie capacità adattive.

Siamo ormai tutti degli isolati sociali? 

Può sembrare paradossale, ma credo che in questo periodo stiamo recuperando il prezioso valore della socialità. Ci telefoniamo di più, facciamo incontri virtuali con amici e colleghi. Di fronte a una situazione difficile che ci accomuna, ci sentiamo più umani. La voracità di affermazione di tipo individualistico, tipico dei nostri tempi, sta finalmente cedendo il posto al desiderio di uno scambio relazionale/interpsichico profondo. 

Che effetti avrà su ciascuno di noi e sulle nostre relazioni sociali? 

Credo che da questo periodo usciremo fuori diversi. Probabilmente qualcuno di noi si ritufferà nella vita come se nulla fosse successo, vivendo i propri giorni in modo così vorace da immaginare di dover recuperare il tempo perduto. Questo sarebbe un errore, perché non ci permetterebbe di tenere in memoria ciò che stiamo capendo. Stiamo comprendendo che siamo fragili, che la vita è un soffio e che correre freneticamente non ci salverà dalla nostra caducità intrinseca.

Mi è piaciuto molto l’articolo dello scrittore David Grossman, il quale sostiene che “il Coronavirus ci farà rivedere le nostre priorità”. Quando sarà tutto finito non è escluso che alcune persone vorranno “rivedere” la propria vita. Ci sarà chi lascerà il lavoro che non gli piaceva da tempo, chi un partner in una relazione insoddisfacente, ecc.. 

Quali i consigli che si possono dare in una situazione così nuova e inattesa? E come uscirne? 

Credo che l’aspetto problematico sia collegato al fatto che oramai siamo bombardati da stimoli esterni che purtroppo riceviamo passivamente. Non siamo più abituati a cercare dentro di noi contenuti stimolanti per trascorrere questo tempo “nuovo”. Dovremmo allenarci. Il timore profondo di questo nuovo meccanismo è collegato alla paura di ritrovarsi “vuoti”. Come se si dovesse raschiare un barile interno. Non dobbiamo aver paura, dentro siamo ricchi. Interroghiamoci. Sono sicura che ognuno di noi ha un progetto che ha archiviato. Avventuriamoci. 

Il ruolo degli strumenti della tecnologia. Quali i vantaggi e quali le possibili perdite o le sconfitte? 

Se in passato è stata talvolta vissuta come disumanizzante, mai come in questo periodo la tecnologia diventa un alleato che ci permette di coltivare le nostre relazioni. Possiamo davvero farne un ottimo uso. I ragazzi apprendono con la didattica a distanza. Gli adulti interagiscono con amici e colleghi. Stiamo anche capendo che le riunioni via Skype, Zoom, Teams etc. sono efficaci. Questo ci allarga gli orizzonti. Stiamo interagendo in modo più assiduo anche con colleghi molto lontani e penso che, concluso questo periodo, non perderemo questa abitudine.

Le stesse psicoterapie telematiche ci sembra che non abbiano nulla di meno di quelle in presenza. Tra colleghi si sta discutendo proprio di questo: della possibilità in futuro di non escludere a priori le terapie telematiche.

Con questo non intendo dire che la telematicità sia al pari dello scambio relazionale in presenza. Pensiamo, ad esempio, a quanto rimanga fondamentale, per la sana crescita evolutiva, il rapporto docente/allievo. A quanto un abbraccio di un nipotino per un nonno/a sia un qualcosa di insostituibile. 

Infine, cosa manca di più in questo frangente ormai lungo e che sarà ancora lungo e imprevedibile? 

Come dicevo, ci manca il contatto fisico, la comunicazione non verbale, le sensazioni che solo in presenza possiamo provare. È venuto a mancare anche il prezioso contatto con la natura. Molti erano abituati a fare delle lunghe passeggiate rigeneranti nel verde.

Tuttavia ci sono degli aspetti positivi. In questo stato di vulnerabilità si è nettamente affievolita la frenesia, l’insaziabilità verso il possesso di beni materiali o la competitività malsana.. sostanzialmente ci sentiamo più umani, non perdiamo questa sana sensazione.

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