Cesena
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Giornata internazionale delle persone con disabilità

Disabili. Papa Francesco: "Non parliamo di loro ma di noi"

No alle celebrazioni, difficoltà quotidiane

Disabili. Papa Francesco: "Non parliamo di loro ma di noi"

"Sono stufa di tutte queste celebrazioni. Anche di quella del 3 dicembre (la Giornata internazionale delle persone con disabilità, ndr). Ci sono tante Giornate. Ogni giorno ce n’è una, ma finito quel giorno è finito tutto. Invece io tutti i giorni vivo le mie difficoltà. E devo battere i pugni”. Lo dice Liviana Siroli, tetraplegica dal 1971 dopo aver contratto un virus influenzale all’età di 18 anni. Liviana è una che le mani in pasta le mette da lunghissimo tempo. Presidente diocesana del Cvs, Centro volontari della sofferenza, siede anche nel Comitato misto dell’ospedale “Bufalini” e ha un passato in consiglio comunale, a Cesena.

La città è sì inaccessibile, ma sempre un po’ meno, bisogna riconoscerlo. Quando devo andare in un negozio - ammette - mi scoccia dover rimanere fuori. Mi lamento e mi chiedo: come mai? Questo fatto mi fa molto arrabbiare. Giro la città in lungo e in largo e la vivo. Cerco di privilegiare chi è diventato accessibile. Devo anche dire che a volte basta chiedere e la rampa magari c’è, come mi è successo poco tempo fa in piazza Aguselli”.
“La disabilità - aggiunge Liviana - è di tanti tipi diversi. Non ci si può focalizzare solo sull’accessibilità. Ci sono anche altre difficoltà. Il nostro è un mondo molto variegato. I disabili hanno bisogno del ballo, del divertimento, degli affetti e anche di una catechesi dedicata a loro, in questo periodo multimediale. Ognuno col suo limite può trovare una sua soddisfazione di vita. Il gruppo vuol dire tanto in queste situazioni. Le associazioni nel tempo si sono mosse, la partecipazione è aumentata e la sensibilità pure. Il Papa, nel suo messaggio si preoccupa che ognuno abbia un suo inserimento. Dice Francesco non parliamo più di loro, ma di noi”. Questo sarebbe il vero cambio di prospettiva.

Sono cresciute, negli anni, anche le sinergie tra istituzioni civili ed ecclesiali. “È chiaro che vorremmo tutto accessibile, subito - dice ancora la Siroli -. Bisogna anche dire che venti anni fa pochi si occupavano di noi ed eravamo solo noi disabili a batterci, assieme a qualche legislatore. Abbiamo combattuto e abbiamo vissuto tutto sulla nostra pelle. Sul campo ci siamo guadagnati una certa autorevolezza e il rispetto delle istituzioni che si è tradotto in leggi che ci tutelano. Adesso in più vedo tante associazioni al nostro fianco. Vengono coinvolti i tecnici, le scuole, le università, per rendere le città a misura di tutti. Fino a poco tempo fa al quinto anno di Architettura non veniva studiata la legge sulle barriere architettoniche”.

“E poi finalmente - fa presente Liviana - oggi tutti parlano di noi disabili come soggetti attivi. Monsignor Novarese (il fondatore del Cvs, ndr) già nel 1947 diceva che il disabile non è oggetto di carità, ma un promotore di carità. Conosciamo persone ammalate di Sla che scrivono incredibili testimonianze di fede. Non è vero che tutti i disabili gravi vogliono morire. Noi ci ribelliamo a questa idea che qualcuno, spesso sano, cerca di diffondere”.
“Di certo nessuno vuole soffrire per nulla - assicura la Siroli - e ci mancherebbe. Ma quando uno si sente accolto, credo che non desideri morire. Vale anche per noi. Ci vogliono gli ausili, l’assistenza domiciliare, tutto quello che può servire per venire incontro alle nostre esigenze e alla nostra condizione. In questo periodo di Covid molti sperimentano la fragilità della propria condizione e forse hanno meglio compreso anche le nostre richieste. Come dice papa Francesco, andremo verso un mondo post Covid. Come sarà dipende molto da noi”.

Infine una precisazione: “Mi raccomando - dice in conclusione la Siroli - fammi dire che faccio e ho fatto tutto questo grazie a Gesù e alla Madonna che mi hanno sostenuto in tante difficoltà, assieme alle tante persone che me li hanno resi presenti. Come si legge nel capitolo 32 di Geremia, dobbiamo comprare quel campo. Un fatto che potrebbe apparire assurdo, come poteva sembrare al profeta, ma che rappresenta il nostro riscatto”.
Francesco Zanotti

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