vite consacrate
Frate Vittore, il frate in tuta verde, ci ha lasciato
Domani, mercoledì 21 agosto, a San Vittore i funerali
È passato a miglior vita sabato 17 agosto a Reggio Emilia frate Vittore Casalboni. Quarto di otto fratelli di San Vittore, dove era nato il 9 marzo 1942 e dove era molto conosciuto, fra Vittore è stato un frate semplice, non sacerdote, essenziale nelle parole e nei gesti. Ha lavorato per anni per le missioni dei Cappuccini in Etiopia. Era sempre in tuta, impegnato a raccogliere carta, stracci e mobili usati. Una di quelle persone che nel mondo di oggi non fanno notizia e perciò meritano di essere ricordate.
Per questo pubblichiamo qui di seguito un suo ricordo a firma del confratello padre Vittorio.
Il funerale sarà celebrato domani, mercoledì 21 agosto, alle 15,30 in parrocchia a San Vittore e alle 11 a Imola presso la chiesa dei frati Cappuccini.
"Una vocazione a prova di tuta verde - scrive padre Vittorio - . Mi sono trovato di famiglia con questo confratello prima dell’ottanta ed è bastato poco per fare conoscenza, anche per la sua essenzialità nei gesti e nelle parole, avendo privilegiato la concretezza nei fatti.
Al mattino, fedele allo svegliare l’aurora, prima di tutti si portava in coro per dare inizio alla sua preghiera di lode a Dio, che considerava essere la giusta chiave per aprire la porta e dare inizio alla sua attività di giornata. Fedele sempre alla partecipazione alla Messa, anche se spesso diceva di non aver tempo da perdere, non era a scapito della preghiera, ma da qualche forma di insignificanza di vita; a volte forse con riferimento a certi incontri. E come dargli torto! Gli appuntamenti si susseguivano con un ritmo, se non frenetico, ma costante sì; giorni dopo giorni, mesi e anni, con scarsità di variazioni.
Appuntamenti con mucchi di carta e cartone, tanti stracci, vecchi armadi, lavatrici arrugginite non più in grado di compiere il loro lavoro; pezzi di metalli, vecchie biciclette, tavoli scassati che il nostro frate Vittore, collaboratore del mondo missionario, sapeva trovare il modo di apprezzare, rendendo apprezzabile anche l’inapprezzabile e quindi vendibile. Se lo avessimo posto nelle discariche di qualche grande città del mondo, di sicuro non avrebbe sfigurato. Discreta prestanza fisica, deciso nei lineamenti del volto, sempre dietro a programmare, a caricare, scaricare il suo inseparabile e vecchio camion. Non aveva certo bisogno di andare in palestra per migliorare la sua prestanza muscolare. Non so come fosse il suo convincimento vocazionale, ma amava dire di essere contento di fare il frate. Dal convento di Imola, quanto martellamento e rumore di lamiere, si sentivano provenienti dal fondo dell’orto, sotto alcune secolari piante e nessuno a chiedersi chi fosse; tanto era l’evidenza. Ancora più si accorgevano della sua presenza laboriosa le famiglie accanto alla mura, da rendere credibile qualche sollecito della moglie al marito: sbrigati che è già tardi ed il frate è già al lavoro!
Non so dove nè quando sia nato, anche se il nome di frate Vittore pare collegarlo al piccolo centro di san Vittore nel Cesenate; ma la cosa assai poco mi interessa, perché un frate come il nostro confratello, una volta conosciuto, amerebbero averlo in tanti come conterraneo, che tradotto potrebbe voler dire come componente la propria fraternità. Quindi veniamo al significato delle sue fatiche e modesti guadagni e di cui si sarebbe potuto dire: è meglio lasciar perdere, non ne vale la pena, se non che ci sono alcuni significati aggiunti che tutto impreziosiscono. Il primo fra tutti è dato dai destinatari delle sue fatiche che sono le realtà povere nelle terre di missione; prima i pensieri a cui fanno seguito i gesti, al fine di alleviare disagi e dare da vivere. Tutta merce che ha sempre corso nella banca del cielo. Ho pensato anche questo a volte nel vederlo grondante di sudore e con l’immancabile tuta verde, l’indumento che più lo caratterizzava e che acquistava di valore nello stesso momento che si consumava e invecchiava.
Spesso lo si vedeva partire per poi fare ritorno con il camion pieno, che ben presto scaricava, pronto a ripartire. Se fossero stati messi sulla bilancia, tutti i pesi che hanno transitato le palme delle sua mani, nello scaricare, caricare o spostare, ci si troverebbe di fronte a decine di migliaia di tonnellate di materiale. Il ricavato da sempre alquanto modesto, aveva un unico scopo, quello di poter essere di aiuto ai missionari. Qualcuno avrebbe potuto dire: Ma chi glielo lo fa fare, ne vale la pena? Tutto dipende dall’angolazione da cui si guarda e il nostro frate Vittore privilegiava quella del Vangelo e del cuore, incorniciando tutto di fatica e imperlando di gocce di sudore. Un sospetto: il nostro confratello ci ha lasciati e pare che non si trovi più la sua caratteristica tuta verde e non credo se ne sia impossessato un altro frate con il desiderio di imitarlo nell’onorare il lavoro; del resto ben ricordo quando io ero ancora giovane promessa, che passando per la strada, qualche bel imbusto non si risparmiava di ricordarmi di andare a lavorare, piuttosto che fare il frate.
Ecco allora il sospetto: non vorrei che se la sia portata via il nostro frate Vittore da presentare come trofeo a chi dovrà giudicarlo? Anche da una tuta sporca può giungere la risposta di un vissuto, meritevole di premio. Non è stato così anche per il grembiule dell’ultima cena? Un grembiule da Cristo proposto a tutti, ma che troppi vi hanno già rinunciato da tempo; ecco allora che il nostro confratello, per evitare alla sua tuta verde la stessa sorte dei grembiuli, ha creduto bene di metterla al sicuro, portandosela dietro e mostrandola pure agli angeli e chissà che qualcuno non esprima il desiderio di provarla! Insomma una vita trascorsa sotto il segno di una tuta verde! Meglio di così?”
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