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Identità, l'ultimo lavoro di Massimo Rovereti

Si inaugura sabato 28 aprile alle 17,30 nella chiesa di San Zenone a Cesena "Identità", la mostra dell'architetto cesenate Massimo Rovereti

Identità, l'ultimo lavoro di Massimo Rovereti

Si inaugura sabato 28 aprile alle 17,30 nella chiesa di San Zenone a Cesena la mostra d'arte e pittura dell'architetto cesenate Massimo Rovereti.

Le opere, accompagnate dal testo critico di Paolo Degli Angeli, resteranno visibili fino al 3 giugno nella chiesa di via degli Uberti. La mostra gode del patrocinio dalla Diocesi di Cesena-Sarsina e dell'assessorato alla Cultura del Comune di Cesena e sarà seguita dal catalogo.

"Cancellature, sovrapposizioni, appunti sparsi, geometrie improbabili, enigmatiche grafie, architetture appena abbozzate, sbavature, colature di colore, lacerti, macchie, scarabocchi, abrasioni e ancora ripensamenti, graffi e spacchi. Privilegiare anomalie invece di finiture perfette è la costante dell’ultimo lavoro di Massimo Rovereti. Pur mantenendo salda la memoria e quel filo rosso che lega tutte le fasi del suo percorso creativo (da Reperti a Caos apparente fino a De/costruzione-caos-memoria-indagine-imperfezione del 2017), l’artista individua nuovi orizzonti ancorando l’opera in modo forte e consapevole a problematiche di cogente attualità, ma anche ad un mondo epico e fantastico abitato da eroi e da figure mitiche. Ossimori propri del fare artistico capaci di coniugare estremi opposti. Cortocircuiti in grado di colpire meandri dell’animo umano altrimenti inaccessibili.

Nelle rovine e nelle imperfezioni Rovereti rintraccia possibili scenari per nuove e interessanti ipotesi di ricerca e lavoro. Fuori dai contemporanei meccanismi mercantili pone il suo campo d’indagine. Sembra intravedere un modo migliore di vivere nel quale i disvalori imperanti dell’oggi perdono consistenza mentre quello che non ha ora valore ne acquista attraverso l’utilizzo di ciò che sembra inutile. L’abbandono ha livellato i destini per dirla con Carmen Pellegrino di Cade la terra.

Quasi dei monocromi, nei quali dalle lacerazioni emerge pigmento, divengono metafora di un arido presente in cui la mancanza di Dio è colmata da un agire umano che brutalizza e annichilisce. Il colore è sepolto sotto una coltre coprente e si manifesta solo a fatica attraverso strappi, rotture, crepe. Mute bocche, nell’assordante rumore del silenzio di valori, urlano cercando di ristabilire un legame con un mondo e con una cultura antica nei quali l’uomo, meno assistito da artificiosi dispositivi, aveva un contatto diretto con i suoi simili e con le cose della terra. ..." (Paolo Degli Angeli).

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