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Ieri il ricordo davanti al monumento ai caduti in Russia

Soltanto in poco più di 10.000 tornarono a casa con ricordi e ferite nel corpo ma soprattutto nello spirito che mai sono guarite

Ieri il ricordo davanti al monumento ai caduti in Russia

Nonostante le limitazioni imposte dalla pandemia che ha fatto cancellare tante iniziative, gli Alpini di Cesena, oggi custodi di una importante memoria, unitamente al vicesindaco Christian Castorri in rappresentanza di tutta la città, hanno voluto comunque ricordare tutti i caduti dell'Armir che nella disastrosa ritirata di Russia e nei gulag di prigionia sovietici hanno lasciato le loro giovani vite negli anni 1942-43. Lo hanno fatto ieri, domenica 8 novembre, deponendo una corona d'alloro davanti al monumento che un sacerdote della nostra Diocesi, don Dino Cedioli, ormai tanti anni fa, fece erigere presso l'Istituto della Consolata di Gambettola che raccoglieva in quegli anni di dopoguerra i tanti bambini rimasti orfani. Quel monumento fu successivamente trasferito e innalzato sulla collina  cesenate in una posizione dal panorama invidiabile sulla città, dove il Sacerdote aveva posto le nuove basi (area di Villa Bianchi) della sua molteplice e instancabile attività sociale in favore degli ultimi: gli "scarti della società" come anche oggi li definisce papa Francesco.

Per quella tragica partecipazione a una guerra di invasione espansionistica voluta dall'allora governo fascista, 235.000 soldati partirono dalla sola Italia. Secondo le stime fatte successivamente 84.830 risultarono i morti e i dispersi. Tra essi poco meno di 45.000 appartenevano alle gloriose Divisioni Alpine della Julia, Cuneense e Tridentina. 54.400 i prigionieri di cui 44.315 morirono lungo le marce del "Davai" e in cattività  nei campi di concentramento sovietici dove non mancò il tentativo di indottrinamento marxista da parte dei cosiddetti "fuoriusciti politici" italiani. Vale qui la pena ricordare un episodio a questo proposito, raccontato da don Enelio Franzoni, medaglia d'oro al valore militare, ultimo per sua volontà  a lasciare quei campi di sofferenza, di abbandono e di morte. Franzoni ha raccontato e scritto che un giorno al campo di Suzdal giunse un folto gruppo di soldati italiani prigionieri. Stanchi, malandati, sofferenti, battevano i piedi per il freddo intenso. Passò per caso  davanti a loro una donna, moglie di un "fuoriuscito politico" italiano operante in quel Campo che, con una battutaccia, fermandosi, così  li apostrofo' :" Avete  battuto le mani?...Ora battete i piedi!" Alludeva ovviamente alle grandi adunate fasciste nelle piazze d'Italia.A conti fatti, soltanto in poco più di 10.000 tornarono a casa con ricordi e ferite nel corpo ma soprattutto nello spirito che mai sono guarite.Alla semplice, sentita manifestazione a Villa Bianchi, col vicesindaco Christian Castorri erano presenti anche Maurizio Brunelli il cui padre fu cofondatore dell' Unirr di Cesena e Diano Magnani, amico, collaboratore di don Dino Cedioli e prosecutore organizzativo della memoria dei Caduti in Russia.

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