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Il dolore dell'università

Piero Pieri racconta in modo efficacissimo la trasformazione dell'Italia (una delle tante che questo Paese ha avuto nella sua storia) e nello stesso tempo il dramma umano suo personale

A sinistra, nella foto, Maurizio Mastrandrea. A destra, Piero Pieri

Piero Pieri, già docente di Letteratura italiana all'Università di Bologna, ha prodotto negli anni numerosi romanzi e testi teatrali, oltre, ovviamente, ai saggi accademici, in particolare su Giorgio Bassani e Carlo Michelstaedter. Ha recentemente dato alle stampe (e l'opera è stata presentata alla Biblioteca Malatestiana di Cesena con un reading di Maurizio Mastrandrea e un intervento di Marino Biondi e di Francesca Tuscano dell'università di Perugia il 29 gennaio scorso) un romanzo molto particolare, un “memoir”, un romanzo di memoria in cui il protagonista è lo stesso autore: “Il dolore dell'università” (Bertoni editore, pagg. 402, euro 19).

Come ha detto lo stesso Pieri durante la presentazione, «sono un servo muto, un “utile idiota”, direbbe Stalin, per raccontare la storia del mio Paese». Questo, infatti, non è che il primo tassello di una narrazione più ampia, che occuperà i prossimi romanzi dell'autore. Al centro di questo primo episodio sono gli Anni Settanta a Bologna, per l'esattezza il periodo dal 1972 al 1978: il giovane Piero comincia il suo cammino all'interno dell'ateneo, osservando i giochi di potere, i legami, più o meno leciti, più o meno tossici, fra i docenti, gli assistenti, il mondo che gravita attorno alle cattedre universitarie. Non c'è, in questo, il desiderio di raccontare chissà quale segreto o inconfessabile enigma. I fatti sono raccontati con leggerezza, con uno stile sempre sorvegliato eppure ricco di pathos. Bastano poche parole al nostro autore per tratteggiare un animo, un dramma, un'esperienza umana.

Prendiamo un piccolo frammento ad esempio. L'autore osserva i giovani docenti universitari. «Sul piano inclinato degli eventi accademici ruzzolano giovani studiosi sprizzanti solide convinzioni, arroganti aspettative, fuoco indiscriminato sul nemico. Ognuno ha la segreta speranza di fare una rapida carriera. Qualcuno è convinto d'essere una pietra preziosa della critica letteraria. Per ora sono manovalanza che aiuta il sistema universitario a fronteggiare la pressione della scolarizzazione di massa. Se guardo attentamente alle euforie dei colleghi, soprattutto quelli che esibiscono riflessioni affilate, immagini scoppiettanti, analogie imprevedibili, alla fine capisco che li sostengono presunzioni modeste, differenze leggere, fierezze opache; per una mai confessata idea di supremazia, edificano imperturbabili alterigie. Perché sembrano così peggiori dei libri che studiano?». Come si vede, il tono non è paternale o supponente, ma di commossa riflessione umana sul mistero dell'animo; forse è anche per questo motivo che è così facile leggere un'opera così ampia e così drammatica, sia per gli eventi personali di Piero, addirittura con un tentativo di suicidio, sia per la città di Bologna e l'intera Italia.

Venerdì 11 marzo 1977: muore Francesco Lorusso, studente, militante di Lotta continua, per un colpo d'arma da fuoco. «Sono attraversato da pensieri senza trama, solo storditi. Mi porto la mano alla fronte e mi scopro pieno di rughe. Invecchiato di colpo, moribondo, senza più parentele col mio attuale presente. Oggi si sta aggiungendo un altro presente, più incandescente, fertile di nuovi vandalismi». Difficile dire meglio con meno parole: Pieri racconta in modo efficacissimo la trasformazione dell'Italia (una delle tante che questo Paese ha avuto nella sua storia) e nello stesso tempo il dramma umano suo personale.

Alla fine della lettura di questo romanzo non resta che il desiderio di leggere il seguito, per seguire Piero nella sua micro-storia nella macro-storia d'Italia.

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