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Economia

Indagine Cna: meno ferie per il 53 per cento delle imprese

Tra gli intervistati domina incertezza e preoccupazione in vista dell'autunno, il 55 per cento delle aziende non assume

Indagine Cna: meno ferie per il 53 per cento delle imprese

Bisognerà attendere il post ferie per conoscere quanto sarà pesante la crisi economica determinata dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria. Quella che si sta profilando, infatti, è un’onda lunga di cui ancora non si è in grado di valutare la portata. Che di certo non sarà positiva, come certificano i dati di un’indagine dell’Ufficio studi di Cna Forlì-Cesena che ha coinvolto 200 imprese della provincia, concentrate (per l’86 per cento) nella fascia 1-15 addetti. Oltre il 50 per cento rientra nei settori produzione e casa.

Un questionario iniziato con una veloce occhiata al pregresso vale a dire ai mesi scorsi, durante il quale il 65 per cento delle imprese ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali.

 

LE FERIE. Per il 53 per cento delle imprese lo stop forzato ha comunque determinato un accumulo di ordini che sarà smaltito riducendo il periodo di ferie rispetto all’anno scorso. Per il 35 per cento le ferie rimarranno uguali al 2019, mentre per il 12 per cento le ferie addirittura aumenteranno, per compensare una domanda evidentemente ancora inferiore alle attese.

Il 57 per cento delle imprese, in ogni caso, osserverà la tradizionale chiusura agostana: una settimana per il 26 per cento, due settimane per il 23 per cento e tre/quattro settimane per il 13 per cento.

Tra le imprese che esportano, il 57 per cento farà meno ferie rispetto al 2019.

Tutto questo ha un forte impatto sulla disoccupazione: solo l’1,5 per cento delle imprese ha dichiarato che effettuerà assunzioni a tempo determinato per affrontare il periodo estivo.

LE COMMESSE POST VACANZE. Un’incertezza alimentata dal pessimismo è, invece, quella che ritroviamo nelle previsioni per l’autunno. Soltanto il 4,6 per cento le imprese prevede di avere ordinativi in crescita, il 18 per cento quelle che pensano ad una certa stabilità delle commesse, il 17 per cento quelle che non sono in grado di fare previsioni. Il pessimismo è rappresentato da quel 61 per cento che parla di un autunno in calo, in forte calo per il un’azienda su tre (per il 4,6 per cento con una riduzione di oltre il 50 per cento degli ordini, 28 per cento con un rosso del 25 per cento).

LE CONSEGUENZE SUL LAVORO. Anche in questo caso le conseguenze sull’occupazione saranno concrete: il 13 per cento degli intervistati dà per certo un ricorso alla cassa integrazione da settembre in poi, e una percentuale analoga lo ritiene probabile; il 28 per cento non azzarda previsioni mentre il 46 per cento non ricorrerà agli ammortizzatori.

STOP AD INVESTIMENTI ED ASSUNZIONI. Di certo c’è che, in conseguenza della crisi, il 55 per cento delle aziende ha dichiarato di aver accantonato i progetti di investimento o di nuove assunzioni.

I numeri anticipano l’elevato numero di risposte negative alla domanda finale dell’indagine: il grado di preoccupazione per le conseguenze di questa crisi. Ancora il 49 per cento si dice molto preoccupato, il 46 per cento abbastanza, mentre solo il per cento si dice ottimista. Come a dire che l’unica cosa certa è un clima poco incoraggiante. 

“Prevedere le dinamiche dei prossimi mesi, di fronte a tante, troppe incognite è davvero difficile – commenta Lorenzo Zanotti, presidente di Cna Forlì-Cesena – l’impressione è che molte imprese stiano alla finestra in attesa degli eventi. E se questi fossero negativi, molte aziende, quelle finanziariamente più deboli o che hanno problemi di passaggi generazionali – potrebbero chiudere definitivamente. Per questo sono necessarie azioni che contribuiscano ad alimentare la liquidità delle imprese, a cominciare dalla cassa integrazione, che va alimentata migliorandone anche l’efficienza: è inaccettabile che a metà luglio in molti casi non siano ancora state erogate le provvidenze di marzo”.

Secondo Cna sono inoltre indispensabili azioni in grado di alimentare la spesa per i consumi (ad esempio, incentivi per la rottamazione di automobili ed elettrodomestici a bassa efficienza energetica) e, soprattutto, gli investimenti. L’Italia è uno dei Paesi a maggior tasso di risparmio, per questo gli incentivi ad interventi di ristrutturazione come il superbonus vanno nella giusta direzione, se i decreti attuativi li renderanno effettivamente fruibili a imprese e cittadini. Allo stesso modo, servono anche investimenti pubblici, compresi quelli di piccolo cabotaggio, da mettere in pratica coinvolgendo le imprese locali.

“Queste azioni – conclude Zanotti – possono innescare un volano importante, sul mercato interno, incentivando i consumi e gli investimenti delle imprese. In attesa di quegli interventi strutturali – la riforma del fisco e la sburocratizzazione – i cui ritardi hanno amplificato le conseguenze dell’emergenza sanitaria. Ora più che mai, il fattore tempo è fondamentale: le imprese non possono aspettare”.

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