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La Fondazione Crc non è più bancaria: ha venduto tutte le azioni della Cassa

Da azionista di maggioranza della Cassa di Risparmio di Cesena (o Unibanca, ai tempi in cui si sognava un grande gruppo bancario) a soggetto estraneo al mondo del credito. La Fondazione Cassa di risparmio di Cesena ha venduto tutte le proprie azioni a Crédit Agricole Cariparma, smettendo i panni della Fondazione bancaria per diventare una Fondazione “pura”.

La Fondazione Crc non è più bancaria: ha venduto tutte le azioni della Cassa

Da azionista di maggioranza della Cassa di Risparmio di Cesena (o Unibanca, ai tempi in cui si sognava un grande gruppo bancario) a soggetto estraneo al mondo del credito. La Fondazione Cassa di risparmio di Cesena ha venduto tutte le proprie azioni a Crédit Agricole Cariparma, smettendo i panni della Fondazione bancaria per diventare una Fondazione “pura”.

Un percorso analogo a quello seguito, nel dicembre scorso, dalla Fondazione di Forlì ma dagli esiti assai diversi. A Forlì, infatti, il patrimonio supera di gran lunga il mezzo miliardo di euro e la vendita ha fruttato altri 46 milioni di euro.

La vendita delle azioni Carisp da parte della Fondazione Cesenate invece, al valore di 50 centesimi per azione, ha permesso al sodalizio di corso Garibaldi di raggranellare 6,69 milioni di euro, dando fiato all’asfittico bilancio della Fondazione (che può contare su dei beni immobili ma ben pochi liquidi in cassa).

A rendere pubblica la vendita non è stata la Fondazione, ma il blogger Davide Fabbri portavoce, assieme a Franco Faberi, del Comitato Difesa Risparmiatori Crc (610 gli azionisti aderenti).

“Sono state vendute 13 milioni e 389mila 543 azioni – spiega Fabbri in una nota – che prima del crac della banca avevano un valore medio pari a 15 euro per azione. Un patrimonio pertanto di oltre 200 milioni di euro andato in fumo. Ora la decisione di vendere tutto, ai miseri 50 centesimi per azione, portandosi a casa le briciole rispetto al valore delle ultime compra-vendite, rinunciando a qualsiasi pretesa risarcitoria, rinunciando a qualsiasi tipo di azione legale per tentare di ottenere un congruo risarcimento del danno”.

Per i piccoli azionisti si tratta di uno smacco: senza la Fondazione al loro fianco sono rimasti soli nelle loro battaglie legali.

“La decisione è stata presa prima dal Cda della Fondazione del 22 giugno scorso – continua Fabbri – ratificata successivamente dal Consiglio Generale della Fondazione del 6 luglio scorso. Tutti favorevoli, tranne 2 astensioni nel Consiglio Generale. Imbarazzante il fatto di non aver coinvolto l'Assemblea dei soci della Fondazione: 111 persone tenute all'oscuro di queste decisioni importanti”.

La Fondazione, come istituzione di diritto privato senza scopo di lucro, dovrebbe svolgere una funzione sussidiaria nel sostegno sociale, nella promozione socioeconomica del territorio, e nel vasto ambito culturale, artistico e ambientale. Senza più utili da parte della banca, questa funzione si è di fatto arrestata negli ultimi anni.

Qualche risorsa potrebbe venire nel prossimo triennio dagli ulteriori accordi stretti (in sede di vendita) con Crédit Agricole Cariparma, che prevedono un bonus di 800mila per rinunciare a qualsiasi tipo di azione legale contro la banca ai fini del risarcimento del danno, un contributo di 400mila euro annui fino al 2020 per interventi sul territorio, la possibilità di utilizzare in comodato gratuito gli immobili della banca per l'attività della Fondazione.

Briciole in confronto ai 170 milioni investiti sul territorio negli ultimi 25 anni dai “cugini” forlivesi, con somme che negli ultimi tempi hanno superato i 10 milioni di euro l’anno. Ma alla Fondazione di Forlì questo è stato possibile grazie alla cessione del controllo della Cassa a Intesa San Paolo nel marzo 2007, prima dell’inizio della grande crisi economica. Anche Cesena trattò un’operazione simile, ma finì in un nulla di fatto. In economia il tempismo è tutto.

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