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Quella volta che Dante venne a Cesena e si fermò a San Pietro

Il testo amplia quanto pubblicato sull'edizione cartacea in edicola da domani

Quella volta che Dante venne a Cesena e si fermò a San Pietro

Sull'edizione cartacea in edicola da domani, a pagina 13 i lettori troveranno un pezzo di monsignor Walter Amaducci su un passaggio a Cesena del Sommo Poeta, Dante Alighieri. E non è una leggenda, avverte il parroco di San Pietro.

Qui sotto i lettori possono leggere la versione più ampia della ricerca fatta dal sacerdote che si diletta di storia e anche di storia legata a fatti più o meno grandi della parrocchia a lui affidata. Qui si tratta del legame tra Dante e i monaci vincaretani che avevano la loro sede a...

Ecco il testo. 

1. Dante a San Pietro

 

            Non c'è spazio per un vasto uditorio nella mia cantina, tra le sue pareti medievali, sotto la volta settecentesca e il suo pavimento di cotto coevo. Ma quella visita guidata a piccoli gruppi programmata per i primi di marzo del 2019, e bruscamente bloccata dalla prima misura di confinamento causata dalla pandemia, prima o poi dovrà pure tornare in agenda! E così continuo a considerare solo rimandata la ricostruzione scenica di un incontro con Dante all'interno di quell'ambiente così suggestivo e carico di memorie, soprattutto a quelle legate ai monaci Vincaretani presenti a San Pietro già dalla fine del XII secolo.

            Il contatto tra Dante e i Vincaretani è stato da me apertamente ipotizzato nel contesto di uno studio sul Priorato di San Pietro a Cesena. Il volume doveva essere presentato nel teatro della mia parrocchia sabato 7 marzo 2020, ma l'appuntamento fu annullato all'ultimo momento perché proprio quel weekend iniziavano le restrizioni sopra ricordate.

            Dante Alighieri venne a San Pietro! «Mettendo le mani avanti, cerco di proteggermi dalla inevitabile ironia che io per primo sento già affiorare» scrivevo allora e ribadisco oggi, ma sentendomi in buona compagnia, se tale può definirsi quella di un Giosuè Carducci o di un Aurelio Saffi, a loro volta rilanciati da un dantista al quale sono molto legato, il prof. Paolo Amaducci di Bertinoro che nel 1919 inaugurava a Polenta i raduni carducciani, con la rituale declamazione dell'ode "La chiesa di Polenta" della quale cito immediatamente due celebri interrogativi:

              Agile e solo vien di colle in colle / quasi accennando l'ardüo cipresso.

              Forse Francesca temprò qui li ardenti  / occhi al sorriso? (...)

              Ecco la chiesa. E surse ella che ignoti / servi morian tra la romana plebe

              quei che fûr poscia i Polentani e Dante / fecegli eterni.

              Forse qui Dante inginocchiossi?

            Sappiamo tutti come quegli interrogativi si siano presto trasformati in esclamativi apodittici, fino alla denominazione di "Polenta di Dante (dal 1° luglio 2021) e all'iconico culto del cipresso di Francesca sul vetta del colle di Conzano.

            Ma c'era stata una precedente celebre domanda, squisitamente retorica, quella che Aurelio Saffi aveva lanciato con tono di sfida nella seduta del 20 dicembre 1889 al Consiglio provinciale di Forlì: «Quale italiano non vorrà conservata e onorata una chiesa dove Dante pregò?» (alla faccia dei consiglieri, in particolare repubblicani, che si opponevano perché non si doveva gittare denaro del pubblico per conservare chiese, anzi era meglio buttar giù anche quelle in piedi).

 

2. I Vincaretani

 

            C'è un legame di antica data tra la famiglia dei Da Polenta e una comunità religiosa sorta a pochi passi dal cipresso di Francesca, chiamata il "Vincareto" (zona di vimini: i "vinci"). Questa località, attraversata dalla stradina omonima, era stata la culla di una comunità monastica molto antica e la sede di un monastero di cui sono rimaste solo alcune tracce, a cominciare dalle pietre che furono utilizzate per la ristrutturazione della vicina villa Rusconi.

            Stiamo celebrando il 700° della morte di Dante Alighieri; due anni fa ho potuto anch'io organizzare e celebrare un 700°: quello della parrocchia di San Pietro Apostolo in Cesena che, come attesta don Luigi Righi (1906) «Fu eretta in parrocchia nel 1319 e fu il 1° parroco Padre Lucio Tiberti, nobile cesenate Priore Camaldolese». Ma scorrendo attentamente gli Annales Camaldulenses ho dovuto prendere atto che nel 1319 i Camaldolesi non avevano ancora niente a che fare con il priorato di San Pietro a Cesena. Solo dalla fine del secolo XIV o addirittura dall'inizio del secolo seguente quel priorato cominciò a fare riferimento a Camaldoli. Chi reggeva allora il Priorato di San Pietro nel 1319?

            Due eventi risalenti agli anni 1225 e 1315 hanno attirato la mia attenzione. I novant'anni che separano le due date registrano subito una continuità riguardante il soggetto ecclesiastico protagonista di tutta la storia della chiesa di San Pietro in Strada, della diocesi di Cesena: si tratta del Priorato di S. Maria di Vincareto, dell'ordine di S. Marco di Mantova, della diocesi di Forlimpopoli. La dipendenza della chiesa di San Pietro in Strada o nei Sobborghi di Cesena dal monastero di S. Maria di Vincareto è attestata fin dal 1225. Scrive lo storico Maccarrone: «La Congregazione di Vincareto (...) rientra in quella fioritura di istituzioni locali, in particolare di eremitaggi, che erano vere comunità religiose e che si distinguevano per una vita più austera oppure si dedicavano all'assistenza dei malati e dei pellegrini. Essa era "sorta alla fine del XII secolo sotto la protezione dei vicini conti di Polenta e favorita anche da Innocenzo III. Si chiamava eremo e seguiva il modello di Camaldoli, ma non aveva preso la Regola dei camaldolesi». La protezione dei vicini conti di Polenta è la chiave di volta per comprendere come mai l'esperienza monastica di Vincareto sia stata per lungo tempo nettamente distinta da quella di Bertinoro, cioè della comunità di S. Maria d'Urano, a sua volta sostenuta dai Conti di Bertinoro.

            L'ospizio, che aveva una comunità religiosa (fratres) approvata dal vescovo di Forlimpopoli, non ebbe una propria Regola fino al 1225, ma in quell'anno, dovendo adottare una Regola approvata dalla Santa Sede, chiese al papa Onorio III, con l'appoggio del vescovo locale, di aggregarsi ai Canonici regolari di San Marco di Mantova, che a loro volta avevano scelto come base la Regola ravennate dei Canonici di Porto. Vincareto però volle mantenere una propria autonomia, ottenendo dalla Santa Sede che la congregazione mantovana non avesse giurisdizione su Vincareto. L'associazione a S. Marco di Mantova permise alla comunità di Vincareto, sino allora locale e dipendente dal vescovo diocesano, di espandersi nella regione romagnola più vicina e di costituirsi a sua volta in congregazione, retta dal priore generale di Vincareto e costituita da membri che insieme a lui compivano gli atti più importanti nel governo della congregazione.

            Nel giro di un secolo tale espansione aveva raggiunto livelli notevoli, non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche sul piano del prestigio e dell'autorevolezza, come dimostra senza ombra di dubbio un privilegium del 1315 riguardante il priorato cesenate di San Pietro.

 

3. Il Privilegium del 1315

 

            Il privilegium è documentato da un atto notarile dell'8 aprile 1315, pubblico istrumento con cui il vescovo di Cesena, Giovanni delle Caminate, intendeva risolvere una vertenza con Donato priore di Vincareto. Il Vescovo Giovanni rinunciava ad ogni suo diritto, riconoscendo piena esenzione dalla giurisdizione diocesana alla chiesa di San Pietro in Strada e ai suoi priori per il presente e per il futuro a favore del monastero di S. Maria di Vincareto e del suo priore fratel Donato e dei suoi successori. Si trattò di un evento di grande portata: l'esenzione dalla giurisdizione diocesana dovette essere motivata da un riconoscimento dell'opera di questi monaci ricollegabile in qualche modo ad un prezioso servizio di carattere pastorale.

            Ma perché ad un priore "camaldolese" (in realtà "vincaretano") proprio nel 1319 veniva conferito il titolo di parroco? Sappiamo che il primo insediamento di un luogo di culto su questo ultimo promontorio del colle Spaziano affacciato sulla pianura, sul lato nord della via Emilia, risaliva probabilmente a seicento anni prima e che San Pietro nei Sobborghi era un riferimento importante per la vita dei cristiani di Cesena già intorno all'anno Mille. Il Privilegium dell'8 aprile 1315 suggerisce al tempo stesso una presa d'atto e una conferma dell'azione apostolica dei monaci di Vincareto, ma soprattutto rivela il prestigio che tale congregazione aveva acquisito nel corso dei decenni precedenti.

            Sono tre le presenze monastiche che, sul finire del XII secolo, troviamo lungo la via Emilia o nei suoi paraggi, a levante della città di Cesena, distanti circa un chilometro ognuna dalle altre      La più antica e solida esperienza era quella di Santa Maria del Monte, sul monte Spaziano, dove da più di un secolo era sorta una comunità monastica benedettina. La fondazione del monastero va collocata tra il 1001 e il 1016

            La seconda è quella di San Marco, fondata dai Crociferi di Bologna e ricordata per la prima volta in un documento del 13 marzo 1186. Si tratta di un monastero sine cura, di indirizzo prettamente caritativo oltre che contemplativo. I Crociferi conducevano una "vita claustrale e ritirata, come frati contemplativi", come afferma il vescovo Benedetto Leoni scrivendo la loro storia. La dimensione contemplativa della vita dei Crociferi, quale contesto e sostegno alla loro presenza caritativa, suggerisce che all'evangelizzazione e alla cura pastorale stessero provvedendo altri espressamente dediti a tale missione.

            Si trattava precisamente dei religiosi del Priorato di San Pietro in Strada che, documentato fin dal 1197, dipendeva da Santa Maria di Vincareto dal 1225 ed era legato ai canonici regolari di S. Marco di Mantova. Quello di Mantova era un canonicato regolare. «Rispetto al monachesimo e in sintonia con i mutamenti sociali, il canonicato restituiva valore alla vita attiva, legando la vocazione sacerdotale non più alla sola contemplazione o al ritiro dal mondo, ma piuttosto alla predicazione, all'attività caritativa, al servizio pastorale ed educativo».

 

4. Dante tra Polentani e Vincaretani

 

            Ma torniamo alla riflessione che riguarda la presenza a Ravenna di Dante Alighieri. Ricordando gli stretti rapporti della comunità di Vincareto con i Da Polenta, è ragionevole pensare che eventuali passaggi o visite a Cesena dei Signori di Ravenna avessero nel Priorato di San Pietro un riferimento noto o addirittura familiare.

            I monaci vincaretani reggevano il priorato cesenate da quasi un secolo e quello che ho chiamato il loro prestigio, culminato col Privilegium del 1315, sarebbe durato ancora almeno fino alla metà del secolo XIV. Voglio citare a tale proposito due riscontri che confermano la loro "epoca d'oro".

            Il primo riscontro, di carattere documentario, ci è fornito dagli Annales Camaldulenses che, ricordando l'epoca che precedette l'annessione di Vincareto a Camaldoli, si soffermano sull'espansione vincaretana, segno di vitalità e fonte di autorevolezza. «Da qui deriva il fatto che il priore di Vincareto era chiamato priore generale e il motivo per cui, nei capitoli di Camaldoli, pretendeva un posto distinto, a somiglianza del priore vigente, che occupava una posizione privilegiata nelle pubbliche riunioni, perché aveva in suo potere più abbazie e monasteri. (...) fino al 1315, nel diploma di Giovanni, vescovo di Ravenna, dopo Ugellio, si cita Donato, priore dell’ordine di Vincareto, insieme con Andrea, del suddetto ordine». Degna di nota, nel diploma di Giovanni vescovo di Ravenna, è la citazione di Donato, priore dell'ordine di Vincareto, il medesimo protagonista del Privilegium cesenate del 1315.

            Il secondo riscontro riguarda la vicenda del monastero di San Paolo in Cesena, che ebbe inizio quando l'originalità di Vincareto esercitava ancora il suo fascino, a pochi anni da quel momento culminante del suo prestigio testimoniato dal Privilegio del 1315. Nel luglio 1340 infatti era avvenuta la fondazione del monastero di San Paolo per iniziativa di un ricco beccaio di nome Dardone, sulla sua proprietà posta nella contrada di Porta Ravegnana.

            Dante visse a Ravenna, ospite di Guido Novello Da Polenta, dal 1318 al 1321 e morì a Ravenna la notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, cioè due anni dopo quel 1319 che segnò l'inizio di una nuova stagione dei monaci di Vincareto a Cesena, sulla scia del Privilegium del 1315, e cioè l'attribuzione ad uno di loro (Padre Lucio Tiberti) del ruolo di "parroco".

            Al di là delle considerazioni che vedrebbero Dante semplicemente a rimorchio di Polentani in un'eventuale attenzione rivolta al priorato di San Pietro a Cesena, esistono ragioni specifiche a sostegno di un interesse personale del poeta nei confronti dell'esperienza religiosa vincaretana?

            Credo che siano almeno due le caratteristiche di quella congregazione monastica a cui Dante poteva essere e mostrarsi sensibile. La prima è proprio quella di essere una forma radicale di vita evangelica, tipica di ogni ordine o congregazione religiosa, ma in quel momento storico e per quella forma particolare data dall'origine e dalla regola adottata, accentuata da una volontà riformatrice, dal proposito di intensificare la scelta dell'austerità e della carità, coniugando inoltre la dimensione contemplativa con l'azione apostolica dell'evangelizzazione. Dante era molto attento a tutte le espressioni della vita consacrata, ma particolarmente a quelle recenti caratterizzate da una innegabile vivacità e da un'autentica spinta riformatrice.

            Una seconda caratteristica è quella determinata dalla regola adottata e seguita dalla Congregazione di Santa Maria di Vincareto e da tutti i priorati dipendenti da essa. Fin dal 1225 Vincareto seguiva la regola dei Canonici regolari di S. Marco di Mantova, e nonostante i periodici ripensamenti determinati da un'attrattiva "camaldolese" avrebbe continuato a farlo fino agli inizi del XV secolo. Ma non va dimenticato né sottovalutato che la regola dei mantovani non era altro che quella dei canonici di Santa Maria in Porto di Ravenna, integrata con alcune varianti relative al vitto, al digiuno e al riposo.

            Sarebbe fin troppo istintivo e sbrigativo, evocando il nome di Mantova, immaginare una ripercussione immediata nell'animo di Dante di tutto ciò che ne testimoniasse la provenienza o un legame significativo. Ma quell'esperienza religiosa mantovana avviata dal prete Alberto Spinola e riconosciuta dal suo vescovo fin dal 1197 e poi approvata da papa Innocenzo nel 1207, aveva caratteristiche davvero peculiari, tali da meritare un'attenzione in chiunque si interessasse di vicende ecclesiastiche e Dante era sicuramente tra questi. Inoltre non si trattò di un fuoco di paglia se, come attestano gli Annales Camaldulenses, fiorì per circa quattro secoli («Floruit haec congregatio per quattuor fere secula tum monasteriorum, tum virorum frequentia celebris»).

 

5. Conclusioni

 

            1. Nel giro di cinque anni, dal 1314 al 1319, nei Sobborghi di Cesena, la comunità monastica del Priorato di San Pietro in Strada, dell'Ordine di Vincareto, collegata con la Congregazione dei Canonici Regolari di San Marco di Mantova fu protagonista di eventi ecclesiastici di straordinaria portata.

            2. La Congregazione di Vincareto era sorta nel territorio di Polenta alla fine del XII secolo e fin dalle origini era stata protetta dai Signori di Polenta. Da più di un secolo esistevano legami stretti tra Vincaretani e Polentani.

            3. Dante visse a Ravenna, ospite di Guido Novello Da Polenta, dal 1318 al 1321. Nel contesto delle relazioni e dei rapporti tra i signori di Ravenna e le comunità vincaretane, si possono ben inserire e sostenere dei contatti con il priorato di San Pietro a Cesena che raggiunse nel 1319 l'apice della sua importanza e del suo prestigio.

            4. A Dante non mancavano motivi di interesse personale nei confronti di un'esperienza di vita religiosa improntata alla radicalità evangelica e alla carità apostolica, come pure alla sua regola che faceva capo all'originale Congregazione di San Marco di Mantova, a sua volta derivata da quella dei Portuensi di Ravenna.

 

            Prendendo atto dei quattro dati appena riassunti, posso tornare ad immaginare una rievocazione storica, drammaticamente congegnata, di un dialogo intrigante tra Dante Alighieri e un venerando priore di San Pietro, magari proprio tra le pareti medievali di quella cantina che rimane l'unico vestigio dell'antico monastero.

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