Cesena
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La recensione

Rocco Papaleo al “Bonci”

Un ottimo cast per "Peachum", un’opera da tre soldi in atto unico

foto: Luca Guadagnini

Sono passati quasi tre secoli da quel 1728, quando John Gay mise in scena al Lincoln's Inn Fields Theatre di Londra la sua “Opera del mendicante”, un brillante testo comico in cui si metteva alla berlina la capitale del Regno Unito, sottolineando le meschinità non solo dei poveri, ma anche dei più potenti, che si divertivano ad opprimere i più deboli. Sono quasi passati cento anni da quando quel genio di Bertolt Brecht rielaborò con Kurt Weill il testo di Gay, dando vita all'“Opera da tre soldi”, nel 1928, ottenendo uno straordinario successo di pubblico. Nella memoria del pubblico italiano non si può dimenticare la versione di Giorgio Strehler del 1956.

Oggi, in un mondo profondamente cambiato (ma fino a un certo punto, ci dice l'autore), Fausto Paravidino, scrittore e interprete molto apprezzato, riprende i due testi, ma soprattutto quello di Brecht, spostando la vicenda ai giorni nostri. Si ride, perché di una commedia si tratta, e la trama è invariata. Mickey (il Mackie Messer di Brecht) si innamora, ricambiato, di Polly, la figlia di Peachum, il re dei mendicanti, che qui è anche venditore, con la moglie, di borsette firmate. Paravidino interpreta Mickey; Rocco Papaleo, Peachum. Novità della versione di Paravidino: Mickey è un naziskin, e la sua banda di nazisti (allusione al clima in cui nacque la commedia di Brecht) dà la caccia ai «negri», mentre Peachum si serve degli immigrati per vendere come false le sue borse griffate (resta un po' misterioso perché debba vendere come false borse firmate, dato che di questa azione non molto logica non viene data una motivazione). Cambia anche la musica: nella commedia di John Gay la parodia era quella dell'opera lirica italiana, in Brecht e Weill si citava il jazz, qui il mondo di riferimento è il rock heavy metal. In tutti i casi ci troviamo in un mondo deformato, scatologico, in cui l'oscenità e il turpiloquio sono parte integrante della vita quotidiana.

Molto interessante la scelta di fare recitare gli attori nei ruoli minori con delle maschere: da un punto di vista pratico è un modo per non avere un cast troppo numeroso, ma dal punto di vista recitativo è un suggestivo effetto di straniamento, che al vecchio Brecht non sarebbe dispiaciuto. Qui non c'è spazio per il “teatro epico” brechtiano: solo raramente i personaggi sanno di recitare e dialogano con il pubblico. Se la parte critica dello spettacolo sulla società in cui viviamo è molto efficace nel mettere alla berlina i difetti delle persone, risulta un po' più impacciato il momento in cui si propone di migliorare questo mondo: sono anche i momenti in cui la scrittura di Paravidino, sempre effervescente e dal ritmo perfetto, sembra incepparsi un po'.

Nell'insieme un ottimo cast. In particolare funziona molto bene la coppia Paravidino-Papaleo. Da registrare un po' meglio il rapporto fra musiche e voci, perché le seconde vengono spesso soverchiate dalle prime. Lo spettacolo, in scena al “Bonci” di Cesena da giovedì 10 a domenica 13, nella serata di venerdì era visto da un pubblico non numerosissimo, ma molto partecipe, che ha salutato con reiterati applausi l'atto unico di due ore, richiamando sul palcoscenico, alla fine, più volte il cast.

La replica di domenica 13 febbraio sarà audio descritta: l’iniziativa si svolge nell’ambito del progetto del Centro Diego Fabbri di Forlì “Teatro No Limits”, che consente alle persone con disabilità visiva di partecipare agli spettacoli potendo apprezzare a pieno tutti gli aspetti della messa in scena. Informazioni e prenotazioni: Centro Diego Fabbri di Forlì info@centrodiegofabbri.it - tel. 0543 30244.

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