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La famiglia Canducci torna il sella al ristorante "Due ponti"

Dopo quindici anni il resort passa nelle mani di chi l’aveva costruito negli anni ’90. Al timone - con l’aiuto della mamma Maria Grazia Canducci - c’è Cesare Tramontano, diploma in agraria con master negli Stati Uniti

La famiglia Canducci torna il sella al ristorante "Due ponti"

Laddove c’era lo storico podere di otto ettari della famiglia Belletti - da 32 anni - c’è il ristorante Due Ponti o, meglio, il “Resort Due Ponti Village” come è stato ribattezzato oggi dopo un accurato restyling della struttura e della filosofia gestionale. 

Perché, anche se l’identità resta la stessa degli anni ’90 (l’antica osteria di nonna Tonina consacrata alla “romagnolità” più verace), oggi ai Due Ponti la parola d’ordine è eco-sostenibilità e l’atmosfera ruspante si sposa con una più ricercata qualità ricettiva e gastronomica. Una svolta impressa qualche mese fa quando, dopo oltre quindici anni di “stacco”, la famiglia Canducci - che l’aveva fondata lo scorso millennio - è tornata stabilmente al timone dell’attività. 

Ad occuparsi del rilancio del ristorante - con il prezioso aiuto della mamma Maria Grazia Canducci - è Cesare Tramontano, 29 anni, un diploma in agraria con master negli Stati Uniti dove, lavorando per diverse aziende in Texas, ha imparato l’arte dell’allevamento del bestiame. 

Cesare, perché la vostra famiglia ha deciso di tornare in sella al ristorante Due Ponti?

Il vecchio gestore, dopo tanti anni, aveva un po’ esaurito il suo percorso e il passaggio di testimone, anche se il Covid ha complicato tutto, è stato abbastanza ‘naturale’. Del resto, tra queste mura io ci sono cresciuto e quella della ristorazione è sempre stata una mia passione. Abbiamo ristrutturato il cuore del locale nell’inverno scorso, quando eravamo in lockdown e, dopo una fase di inevitabile rodaggio, da qualche mese siamo partiti a pieno regime con un nuovo progetto che prevede, nei prossimi anni, nuove strutture e tanti ammodernamenti. Sul cambio di gestione, come a volte capita, c’è stata un po’ di confusione, ma il ristorante - ci tengo a precisarlo - non ha mai chiuso. 

Che cosa è diventato oggi il ristorante Due Ponti?

Un luogo sempre legato a doppio filo alle sue tradizioni rustiche, dove il piatto forte restano le tagliatelle allo stallone, il coniglio in porchetta e la carne frollata, ma anche un locale più al passo con i tempi adatto anche alle coppie che, in questo scorcio di campagna, possono trovare pace e una buona cucina.

Come è cambiata la vostra idea di ristorazione?

Teniamo i piedi ben saldi sulle nostre radici perché nessuno vuole sconfessare la nostra identità e la nostra cultura, ma il mondo sta cambiando e, sull’onda delle nuove tendenze, ci piacerebbe in futuro proporre una ristorazione per una platea più ampia di clienti. È chiaro che ai Due Ponti non si mangerà mai il sushi, ma oggi anche un cliente vegetariano può trovare da noi tante proposte, come ad esempio la piadina fatta con l’olio e non con lo strutto. Al di là di certi estremismi, credo che in futuro vincerà il modello flexitariano, ovvero un’alimentazione di tipo vegetariano senza rinunciare alle proteine animali provenienti da allevamenti non intensivi. 

Il mondo sta andando verso una cultura veg?

Non direi. In questi anni, da noi come altrove, è cresciuta molto tra la gente la cultura alimentare. Oggi sappiamo tutti che la carne della grande distribuzione organizzata, che proviene per gran parte da allevamenti intensivi, ha dei livelli di qualità non straordinari. Quando si dice che un elevato consumo di carne non rappresenta la dieta ideale si intende quella degli animali da batteria, quelli cioè che - allevati in situazioni di stress - vivono senza mai sentire il sole sulla pelle o l’erba sotto i piedi. Per questo, visto che gli spazi ce lo consentono, tra i miei progetti c’è la creazione di un allevamento di bestiame a ‘km 0’ dove curare personalmente la crescita dei capi e dunque la qualità delle materie prime. 

Un legame sempre più saldo con il territorio…

Esattamente. Già oggi produciamo i nostri salami e le nostre salsicce in maniera artigianale ed anche la carne la acquistiamo direttamente da un allevatore certificato di Ravenna. La stessa farina che utilizziamo per fare la pasta fresca proviene dal molino Ronci di Riccione e l’idea, molto presto, è quella di creare un orto biologico nei nostri terreni per avere, in ogni stagione, prodotti freschi. Insomma, quasi tutto ciò che si mangia e si beve da noi proviene dal territorio romagnolo.

All’attività è annessa anche un’area ricettiva con una sessantina di posti letto e la piscina con 100 lettini. Anche qui si fa turismo?

Pur essendo sempre a Cesenatico è un turismo slow, più vicino al modello toscano e sicuramente diverso dai format della vicina riviera. Non a caso, noi abbiamo una clientela prettamente straniera e, soprattutto tra giugno e luglio, ospitiamo tanti turisti danesi, francesi, inglesi e tedeschi. Il mercato italiano è ancora un po’ incostante, ma penso che in futuro il “turismo green” acquisirà sempre fette più ampie di clientela. Anche per questo l’idea, nei prossimi anni, è quella di creare una Spa e magari, grazie a un impianto di fotovoltaico, riscaldare anche la piscina esterna per avere una struttura che funzioni dodici mesi l’anno. In ogni caso, a occuparsi direttamente del villaggio sarà mia zia Raffaella con le mie cugine”. 

Anche il maneggio continua a essere una parte essenziale della struttura…

Assolutamente. Oggi conta circa una settantina di cavalli e duecento soci, tra privati e giovani allievi della scuola. A gestirlo è mio fratello Luca assieme all’esperienza del mio nonno. Anche in questo caso abbiamo idee nuove con un maxi-progetto di ammodernamento di tutta la struttura.

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