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Argentina, Macri sconfitto alle primarie e la Borsa crolla: chi pagherà il conto?

Un avviso di sfratto in piena regola per l’attuale presidente, di estrazione liberale, Mauricio Macri, che è stato distanziato di ben 15 punti dal candidato peronista, Alberto Fernández, già capo di gabinetto del presidente Nestor Kirchner

Foto agensir.it

Chiamatelo come volete: “avvertimento dei mercati”, un’anteprima di quanto succederà nei prossimi mesi, o semplicemente una “crisi di panico”. Resta il fatto che il tonfo della Borsa di Buenos Aires (meno 48% alla sua apertura, lunedì) e del peso argentino (che ha perso il 25% del suo valore rispetto al dollaro) hanno confermato la febbre alta dell’economia del Paese latinoamericano e dato il via all’ottovolante che caratterizzerà le dieci settimane e mezzo che ci separano dalle Elezioni presidenziali del prossimo 25 ottobre. Con gravi conseguenze sulla pelle della povera gente.
A fare da detonatore un altro appuntamento elettorale, quello di domenica scorsa con le Primarie. Dovevano avere una funzione simile a quella delle qualifiche per un Gran premio di Formula 1: definire la griglia di partenza e il numero dei partecipanti (dato che i candidati dovevano superare un quorum). Si è trattato, invece, di

un avviso di sfratto in piena regola per l’attuale presidente, di estrazione liberale, Mauricio Macri,

che è stato distanziato di ben 15 punti dal candidato peronista, Alberto Fernández, già capo di gabinetto del presidente Nestor Kirchner, che corre in ticket con la moglie di Nestor, l’ex presidente Cristina Kirchner, ora candidata alla vicepresidenza. Fernández ha ricevuto il 47%, più di quanto gli accreditasse qualsiasi sondaggio. Macri si è fermato al 32%. Il tutto condito da un’altissima partecipazione popolare.

Fernández a valanga. “Non si vede come Macri possa recuperare – afferma senza mezzi termini da Buenos Aires il sociologo e politologo Gabriel Puricelli, coordinatore del Laboratorio di politiche pubbliche -. Il distacco è enorme, i sondaggi non lo avevano previsto in questi termini, ma con la crisi economica anche queste ricerche vengono svolte in economia e perdono in affidabilità. Si è quasi trattato di un’elezione anticipata e sarà molto difficile per l’attuale presidente recuperare quindici punti. Se fosse confermato il risultato di domenica, Fernández vincerebbe al primo turno, per due ragioni previste dalla legge elettorale argentina: il superamento del 45% e, nel caso non si ottenga questa percentuale, il vantaggio di almeno 15 punti sul secondo classificato nel caso il vincitore superi il 40%. Tra l’altro, domenica nel conteggio percentuale figuravano anche le schede bianche, cosa che in ottobre non accadrà. E quindi, il 47% del candidato peronista, in realtà è già un 49%”.

Macri ha convinto i mercati, non il popolo. Restano da analizzare i motivi del terremoto borsistico e monetario, ancora più inatteso. Prosegue Puricelli: “C’è da dire, in generale, che la situazione economica del Paese è sempre più precaria, il Pil pro capite non cresce da dieci anni, il Governo ha fatto politiche di austerità e accordi con l’estero, ma ha annullato ogni possibilità di crescita.

I mercati, però, a quanto pare, contavano sulla continuità delle politiche di Macri, che ci ha messo del suo, agitando lo spauracchio del ritorno dei peronisti e dipingendo Fernández come una specie di Maduro, cosa assolutamente non vera. E’ sempre stato un politico pragmatico, più di centro che di sinistra.

Diciamo che la campagna di Macri non ha convinto il Paese, ma i mercati sì. La bomba, però, è esplosa in anticipo, tra le sue mani, non ha ben calcolato il rischio”.

Quali, dunque le ragioni più squisitamente economiche del terremoto che si è creato. E come uscirne? Spiega l’economista dell’Università Cattolica argentina (Uca) Eduardo Donza, uno dei ricercatori dell’Osservatorio del disagio sociale, creato dall’Uca nel 2004: “C’è poco da dire, i mercati facevano il tifo per Macri. La loro è un’aspettativa di continuità, perché vengano onorati gli impegni presi con il Fondo monetario. C’è il dubbio che un governo peronista venga meno ai patti”. Un prestito da rispettare, che prevede interessi fino al 70%. Un avvertimento? “Non proprio, la definirei piuttosto una prospettiva anticipata”. Inoltre, “ci sono gruppi imprenditoriali, soprattutto nell’ambito dei servizi, che si aspettano da un governo Fernández un controllo molto più ferreo sui prezzi”.

Il conto è pagato dal popolo e dalle famiglie. In tutto questo, mentre l’inflazione galoppa e promette di passare dall’attuale 40% a oltre il 50%, c’è purtroppo una certezza su chi pagherà il prezzo di questa tempesta, basata su ipotesi tutte da dimostrare: “L’aumento dell’inflazione è destinato a ripercuotersi immediatamente sui prezzi degli alimenti – prosegue Donza – e di conseguenza sulla qualità della vita, già ampiamente compromessa, delle famiglie argentine e dei ceti più bassi, si interrompe il ciclo virtuoso dell’economia domestica. Con l’interrogativo di quello che potrà succedere dopo le elezioni”.
Inevitabile chiedere all’economista se è possibile evitare questa corsa distruttiva e irrazionale:

“Bisogna costruire fiducia e costruire una transizione ordinata.

E’ un compito comune, che spetta a tutti i partiti, e anche al Governo. Non possiamo andare avanti così per due mesi, con un’economia in preda alle convulsioni. Bisogna costruire un accordo e rassicurare tutti i soggetti che l’eventuale passaggio di potere sarà ordinato”.

Fonte: Sir
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