intervista
Israele e Hamas. Baskin: “L’unica strada è un cambio di leadership”
Si è concluso venerdì scorso a Doha, in Qatar, il vertice di due giorni per discutere il rilascio degli ostaggi e la tregua a Gaza. Alla fine di questa settimana nuovo round in Egitto. L'intervista a Gershon Baskin, direttore dell'Ico ed ex negoziatore nella liberazione del soldato Gilad Shalit catturato da Hamas nel 2006
Si è concluso venerdì scorso a Doha, in Qatar, il vertice di due giorni per discutere il rilascio degli ostaggi e la tregua a Gaza. Le dichiarazioni ottimistiche del presidente Usa, Joe Biden, e dei mediatori regionali (Egitto e Qatar) nascondono profonde differenze tra Israele e Hamas sui termini per porre fine alla guerra a Gaza. Come detto da molti osservatori sul campo, sia il primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, sia il nuovo leader di Hamas, Yahya Sinwar, calcolano di trarre vantaggio dai combattimenti continui. Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali statunitensi, gli Usa stanno cercando non solo di porre fine alla guerra di Gaza, ma anche di prevenire le rappresaglie iraniane per l’uccisione del leader di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran. Un cessate il fuoco a Gaza potrebbe anche placare i combattimenti in corso tra Israele e le milizie Hezbollah libanesi e gli attacchi del movimento filoiraniano Houthi in Yemen alle spedizioni commerciali. Intanto il segretario di Stato americano, Antony Blinken, è in Israele, per spingere avanti i negoziati sul cessate il fuoco a Gaza accompagnato dal rilascio di ostaggi contro i prigionieri palestinesi. Per il capo della diplomazia americana, che questa mattina ha visto a Tel Aviv il presidente israeliano Isaac Herzog, i negoziati in corso sono “forse l’ultima chance” di arrivare ad un accordo per la fine della guerra tra Israele e Hamas. Oggi Blinken vedrà il premier israeliano Netanyahu mentre domani farà tappa in Egitto. E proprio nella capitale egiziana dovrebbero riprendere i negoziati alla fine di questa settimana.
Per fare il punto sulla situazione il Sir ha intervistato Gershon Baskin, scrittore e notista israeliano, direttore per il Medio Oriente dell’International Communities Organization (Ico). Baskin ha preso parte alle trattative per la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit, catturato nel 2006, da un commando di terroristi palestinesi penetrato in territorio israeliano attraverso i tunnel scavati a Gaza. Venne liberato 5 anni dopo in cambio di 1.027 palestinesi.
Direttore, condivide l’ottimismo del presidente Biden, per il quale “la tregua a Gaza non è mai stata così vicina”?
Gli americani tendono sempre a dare un’interpretazione ottimistica, anche laddove ci sono ben poche ragioni per essere ottimisti. Il punto fondamentale è che il successo della trattativa è nelle mani dei mediatori, dalla loro determinazione, in quanto l’Egitto, il Qatar e gli Stati Uniti possono esercitare una grande influenza su Israele e su Hamas e, se intendono raggiungere un accordo, possono usare il loro potere di persuasione per costringerli a trovarlo. Dipende anche da quanto l’accordo proposto risponda alle esigenze e richieste principali delle due parti. Questo è lo scoglio principale ed è una questione complessa.
Da parte israeliana sussistono legittime preoccupazioni in materia di sicurezza, e ci sono le legittime preoccupazioni di Hamas per quanto riguarda la fine della guerra. Da quanto mi risulta, la distanza tra le due parti è ancora molto ampia.
Hamas avrebbe rifiutato gli esiti del vertice a Doha, perché?
No, non è così. Ci sono molti leader del movimento che rilasciano dichiarazioni a nome di Hamas. Ma la posizione ufficiale di Hamas è quella rappresentata da Osama Hamdan, che è a Beirut. Hamdan parla solo dopo che il Consiglio della Shura di Hamas ha preso la sua decisione che include il volere del suo nuovo leader, Yehya Sinwar. Riguardo ai colloqui di Doha, Hamdan ha dichiarato che nulla è stato risolto ma ha ribadito il sostegno al piano presentato dal presidente Biden e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Hamas chiede anche la fine completa della guerra e rifiuta la presenza a Gaza di qualsiasi soldato israeliano. I colloqui a Doha si sono concentrati sulle categorie di prigionieri palestinesi da rilasciare e sui nomi dei prigionieri. Al momento i divari tra Netanyahu e Sinwar rimangono piuttosto ampi e forse incolmabili.
Nonostante ciò, crede che un accordo sarà possibile e che i colloqui previsti questa settimana al Cairo riusciranno a ottenere un risultato positivo?
Credo che ci siano poche possibilità, ma non sono pari a zero. Ma finché i negoziati sono in corso, queste possibilità esistono. E naturalmente, i negoziatori israeliani potrebbero anche scegliere di tornare in Israele e dire al primo ministro Netanyahu che si rifiutano di continuare a negoziare perché lui non permette loro di raggiungere un accordo.
Prima parlava di potere di persuasione di Usa, Egitto e Qatar. Ma se questi Paesi mediatori hanno davvero potere, perché non è stato ancora raggiunto un accordo?
Perché le leve di cui dispongono i mediatori comportano scenari “apocalittici”. Questo significa che gli Usa dovrebbero cessare la fornitura ad Israele di bombe da sganciare su Gaza e decidere di non esercitare il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, fermo restando il sostegno ad Israele in caso di un possibile attacco da parte dell’Iran e di Hezbollah. Il Qatar potrebbe fare, a sua volta, pressioni su Hamas buttandone fuori del Paese i leader che vi si sono rifugiati e chiudere il rubinetto degli aiuti. L’Egitto, infine, è l’ancora di salvezza per Gaza: tutto ciò che entra a Gaza passa per l’Egitto. Inoltre, al Cairo vivono 160.000 palestinesi fuggiti da Gaza. Si tratta di leve che, come dicevo, aprono scenari da “giorno del giudizio”, che potrebbero utilizzare se fossero intenzionati a farlo. Ci sarebbe anche un altro aspetto…
Quale?
I mediatori potrebbero proporre alle due parti un accordo migliore di quello attualmente sul tavolo. Accordo che potrebbe comprendere il rilascio degli ostaggi israeliani, la fine della guerra in 4-6 settimane, il completo ritiro israeliano da Gaza, la sigillatura dei 14 chilometri del confine egiziano tra Gaza e l’Egitto, un nuovo meccanismo affidabile di supervisione sul valico di Rafah e un’intesa ragionevole sul rilascio dei prigionieri palestinesi senza veto israeliano. Diversamente i negoziati potrebbero durare ancora molto a lungo con la conseguenza che, nel frattempo, molte più persone verranno uccise, compresi gli ostaggi israeliani.
La pressione dei familiari degli ostaggi e di una parte della società israeliana è continua e chiede al governo di siglare un accordo…
Sì, ma non è sufficiente. Se i negoziatori israeliani, tra i quali il capo del Mossad e quello dello Shin Bet, si dimettessero perché Netanyahu non permette loro di raggiungere un accordo, allora sì che la gente scenderebbe in piazza in massa. Allo stato attuale, sono dieci mesi che le famiglie protestano, tuttavia questo non è abbastanza da indurre il primo ministro a cambiare rotta.
Lei fu uno dei negoziatori che trattarono con Hamas per la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit. Qual è la strada da percorrere per cambiare in modo significativo la situazione e quale potrebbe essere il futuro di Gaza?
L’unica strada è un cambio di leadership. Finché Netanyahu è il leader di Israele e ci saranno Hamas e Mahmoud Abbas in Palestina, le possibilità che avvenga il cambiamento di cui abbiamo bisogno sono minime. È fondamentale che a Gaza ci sia una leadership palestinese credibile, e questa leadership dovrà essere unita a quella della Cisgiordania. La comunità internazionale dovrà riconoscere questi territori quale Stato della Palestina. Il nuovo leader israeliano e il nuovo governo israeliano dovranno avviare immediatamente i negoziati per la soluzione dei due Stati. Occorre offrire al popolo palestinese una valida alternativa alla violenza e al terrore di Hamas, ovvero la speranza che otterranno la libertà, la liberazione e il riconoscimento della loro dignità.
Volendo riassumere questa situazione, è possibile stabilire chi, tra i palestinesi e tra gli israeliani, è favorevole e chi è contrario a questo accordo?
Sì, il primo ministro israeliano e buona parte del suo governo è contrario a un accordo con Hamas. Penso che Netanyahu non sia disposto a stringere un accordo con Hamas finché Sinwar resterà in vita. La sua morte potrebbe rappresentare un punto di svolta, ma questa svolta non avverrà prima di allora. E d’altra parte Hamas non accetterà un accordo che non ponga fine alla guerra e non preveda il ritiro delle forze israeliane da Gaza.
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