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Monsignor Crociata: “La crisi può diventare molla per un ribaltamento positivo”

Il vice-presidente della Comece: “la solidarietà deve rimanere l’obiettivo e il metodo del progetto dell’Unione, se non si vuole far naufragare l’impresa europea in un passaggio cruciale della sua storia”

foto SIR/Marco Calvarese

“Proprio in ciò sta la speranza: nella capacità di vedere, in mezzo al dramma, opportunità, potenzialità, chiamate, stimolati come siamo da sfide inedite ma anche rincuoranti per chi sa guardare lontano, oltre gli ostacoli”. Con queste parole, mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina e vicepresidente della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Ue, spiega al Sir la scelta dei presidenti dei vescovi Ue di lanciare in questo periodo così difficile e oscuro della storia europea un messaggio di speranza e un appello alla solidarietà. “È questo – spiega – in fondo l’atteggiamento del credente, il quale conta innanzitutto nella promessa e nella premura paterna di Dio, che gli fa intravedere un superamento e un bene oltre le difficoltà del presente e risveglia in lui risorse ed energie insospettate”.

Quali conseguenze sta lasciando la pandemia nelle nostre società europee? Quali la preoccupano di più?

Sono più d’una le conseguenze che si prospettano in senso negativo. Sul piano economico-sociale il rischio che incombe è quello di un impoverimento generalizzato, destinato a colpire più duramente le fasce più deboli e anche il ceto medio. Dal punto di vista psicologico e morale sembra crescere lo scoraggiamento, la demoralizzazione o perfino la paura, soprattutto per effetto del prolungamento della pandemia nella seconda ondata attualmente in corso, che può dare la sensazione di non riuscire a venir fuori da questo tunnel. Infine, sul piano educativo, i danni di più lunga gravità e durata potrebbero essere subiti da bambini, ragazzi e giovani privati delle condizioni essenziali per la loro educazione e la loro formazione. Per tutti si può temere una deriva di frammentazione collettiva nella lotta egoistica degli uni contro gli altri a tutti i livelli. Si deve però aggiungere che per molti questa crisi è diventata e può diventare la molla per un ribaltamento positivo della situazione.

I presidenti delle Conferenze Episcopali degli Stati Membri dell’Unione europea lanciano anche un appello di solidarietà. “Ci siamo resi conto, come ha detto Papa Francesco, di essere nella stessa barca e di poterci salvare solo restando insieme”. Come si può concretizzare questa solidarietà?

Il Messaggio promosso dalla Comece e sottoscritto dai presidenti delle Conferenze episcopali dei Paesi dell’Unione Europea ha in questo appello un punto nevralgico e una motivazione ispiratrice: la solidarietà è ciò di cui oggi c’è soprattutto bisogno, tra i cittadini dei singoli Paesi e tra gli stessi Paesi, a tutti i livelli. Senza voler entrare nella dialettica politica con le sue dinamiche e motivazioni, non è rassicurante vedere messo in discussione in questo momento uno strumento economico di enorme portata che, a detta di tutti gli osservatori oltre che dei protagonisti della scena europea, è decisivo per consentire ai singoli Paesi e a tutti essi insieme di attraversare questa fase critica e di uscirne senza costi sociali devastanti. Naturalmente il confronto è necessario e deve rendere possibile una crescita dell’intesa culturale oltre che politica ed economica, ma la solidarietà deve rimanere l’obiettivo e il metodo del progetto dell’Unione, se non si vuole far naufragare l’impresa europea in un passaggio cruciale della sua storia.

Nel messaggio si fa riferimento alle Chiese sorelle e alle altre tradizioni religiose. Quale dunque il ruolo della fede in Europa per i popoli europei?

Con il passare del tempo appare sempre più chiaro che le radici spirituali e culturali dell’Europa sono l’unica linfa vitale capace di rianimare la sua identità e la sua unità, e di far condividere a quanti ne sono parte un progetto di crescita al proprio interno e di protagonismo geopolitico e storico ben oltre i suoi confini. In questo compito le varie confessioni e le religioni avvertono la responsabilità che le accomuna.

A noi cristiani è chiesto di fare della fede non una bandiera o una presenza che rivendica riconoscimenti, bensì innanzitutto la missione di tutta una vita, perché la sua parola e la sua testimonianza nutrano radici che quanto più sono salde e forti tanto più mostrano la capacità di rinsaldare un terreno comune, una fraternità aperta, una amicizia sociale capace di raggiungere tutti.

Fonte: Sir
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