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Pubblichiamo ampi stralci di un pezzo tratto dal blog orizzontipolitici.it

Verso una prossima recessione?

Molti i segnali che la indicano e grazie ai quali si potrebbe evitare

Verso una prossima recessione?

Chi non ricorda l’immagine dei funzionari con gli scatoloni in braccio? Era il 15 settembre 2008. La banca statunitense Lehman Brothers annunciava il suo fallimento, segnando l’apice di un periodo di recessione economica che era iniziato nel 2007, in seguito alla crisi del mercato immobiliare negli Stati Uniti. Poco più tardi, la morsa economica non ha di certo risparmiato l’Eurozona, che, a causa anche delle difficoltà americane, ha vissuto anni durissimi cercando di risolvere la cosiddetta “crisi del debito sovrano”. Ma quali sono state le maggiori cause della crisi, prima finanziaria e poi dell’economia reale, che hanno portato al settembre del 2008?

Tra le tante ragioni che hanno causato la crisi finanziaria negli Stati Uniti, possiamo qui descriverne alcune. Sicuramente, una di queste è stata la creazione di una vera e propria bolla immobiliare a partire dall’inizio degli anni 2000. I prezzi delle case si erano alzati tantissimo, creando una “bolla speculativa”, ovvero una situazione dove il valore di mercato di un bene non rispecchiava quello reale. Anche le agenzie di rating hanno giocato un ruolo importante: incapaci con i loro modelli di giudicare in maniera adeguata i prodotti e anche per la chiara presenza di conflitti di interessi, esse hanno contribuito ad ingigantire la bolla dei cosiddetti mutui subprime.

Un’eccessiva quantità di debito mondiale e di credito e liquidità nell’economia, la creazione di una bolla speculativa e la scarsa capacità di tenere il mercato informato nella corretta maniera da parte degli operatori (agenzie di rating incluse) sono da annoverare tra le maggiori cause della crisi globale che abbiamo visto esplodere dieci anni fa. La domanda che oggi ci poniamo è se esistono, guardando alla situazione globale attuale, segnali simili, che puntano nella stessa direzione. L’edizione del 11 ottobre 2018 de The Economist intitolava “The Next Recession”, ovvero “La prossima recessione”. Scritto senza punto interrogativo, la testata inglese non mette in discussione l’avvento di una “prossima recessione”, che viene anche annunciata come vicina. Sebbene molti economisti riconoscono che i segnali del sistema economico rimangono positivi per il 2019, essi sono tutti volti a cercare di capire gli attuali rischi per trovare ora le misure preventive per una recessione che si prevede arrivare nel futuro.

Il primo fattore da considerare è che la crisi, specialmente in Europa è stata curata, in maniera “omeopatica”, con la creazione di ulteriore debito. I governi hanno adottato politiche fiscali espansive per stimolare l’economia, cercando di sviluppare crescita e occupazione, e anche le banche centrali hanno compiuto politiche monetarie a loro volta fortemente espansive, sempre tentando di marciare nella stessa direzione, oltre a cercare di salvare numerosi stati dalla crisi del debito sovrano. In Europa, nel 2015 il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ha lanciato l’inizio del quantitative easing (Qe), ovvero un’azione straordinaria che prevede l’acquisto massiccio di titoli di stato da parte della Bce.

Un secondo aspetto da tenere in considerazione è il prezzo generale degli asset nell’economia oggi. Come scritto in articolo sul Financial Times dell’11 settembre 2018, asset prices: most are frothy, if not in bubble territory (i prezzi degli asset sono molto nebulosi se non già in territorio ‘bolla’), sottolineando come si stia nuovamente creando una bolla speculativa nel mercato finanziario. Ancora una volta, il mercato sembra essere privo delle misure di sicurezza necessarie che possano rendere esso più facile da comprendere, riducendo l’asimmetria informativa fra aziende, investitori e creditori.

Il terzo fattore da tenere in considerazione riguarda le potenziali crisi che potrebbero scoppiare o che sono recentemente esplose. Crisi geopolitiche, nelle relazioni internazionali o nei rapporti commerciali. L’esempio più eclatante è il conflitto protezionistico tra il presidente americano Trump e il leader cinese Xi Jinping. Oltre a questo, la crisi del Regno Unito nel fronteggiare la Brexit e le difficoltà riscontrate dall’Italia nel negoziare una manovra sul debito italiano rendono anche il futuro dell’Unione Europea pieno di interrogativi, viste le sempre più vicine elezioni di maggio.

Appare chiaro che lo scenario che ci prepariamo ad affrontare non è identico a quello vissuto dieci anni fa, ma presenta dei punti comuni. Sarà importante ora avere un poco di “memoria storica”: se è vero che alcune sfide si presentano a noi oggi completamente nuove, altre sono già state affrontate in passato. Basterebbe saperle leggere e interpretare.

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