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Aldo Moro: il figlio dell’autista, “Mi sono voluto confrontare con i brigatisti, questo mi ha permesso di riconciliarmi col passato”

“Ho incontrato Valerio Morucci, che ha ucciso mio padre. E poi Franco Bonisoli e Adriana Faranda. È successo nel 2012. Mi sono voluto confrontare con loro”. Lo afferma Giovanni Ricci, figlio di Domenico Ricci, uno degli uomini della scorta di Aldo Moro, in un’intervista pubblicata da Romasette.it, testata on line della diocesi di Roma

Foto archivio agensir.it

“Ho incontrato Valerio Morucci, che ha ucciso mio padre. E poi Franco Bonisoli e Adriana Faranda. È successo nel 2012. Mi sono voluto confrontare con loro”. Lo afferma Giovanni Ricci, figlio di Domenico Ricci, uno degli uomini della scorta di Aldo Moro, in un’intervista pubblicata da Romasette.it, testata on line della diocesi di Roma, alla vigilia del 40° anniversario della strage di via Fani dove le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro uccidendo la sua scorta.

“La giustizia penale ti dà sicurezza della pena. Ma non cessa il tormento interno”, rivela Ricci, che racconta: “Ho voluto un passo in avanti. Nei terroristi non ho più visto il mostro ma delle persone. Ho guardato i loro occhi, le bocche, le voci. Questo mi ha permesso di riconciliarmi col passato”. Giovanni Ricci aveva 12 anni quando le Brigate Rosse uccisero suo padre.

“La cosa che non dimenticherò mai è l’edizione di ‘Repubblica’ che mostrava la foto di mio padre senza lenzuolo. Mi ha distrutto”. “Avevo la coscienza di aver perso un padre ucciso da uomini di cui non sapevo niente. E – aggiunge – mi sentivo diverso dagli altri compagni che avevano perso un familiare. A me non l’aveva portato via una malattia o un incidente, ma degli uomini. Questo innescò odio e rabbia verso chi mi aveva tolto quel dolce papà, il complice della mia infanzia. Avevano sparato 90 colpi”.

Tra i tanti ricordi, anche quello della madre che “mi ha insegnato a non volere la vendetta, ma a comprendere. Mi diceva di andare oltre e di non farmi vincere dall’odio”. La molla è scattata nel 1996 quando “è nato mio figlio. In quel momento mi sono fatto una domanda: ‘Ma lui se dovesse conoscere i figli dei terroristi, la vendetta sarebbe la cosa giusta?’. Lì ho avuto la scintilla. Dovevo cambiare. Non potevo continuare a distruggermi. Dovevo vincere l’odio e la rabbia, il mostro dentro l’armadio”.

Dell’incontro con Morucci ricorda che “l’ho visto piangere per il male fatto. Mi ha chiesto: ‘Tu sai chi sono io?’. Gli ho risposto: ‘La tua croce è più grande della mia’. Nonostante il dolore per la perdita di mio padre ho ripreso a vivere. Non sono più una vittima, sono rinato come una persona”. Ricci conferma di aver perdonato “perché ho compreso, guardando gli occhi degli assassini, che le loro ferite non spariranno mai. Non solo. È un dolore che continua”. “La moglie e i figli dei terroristi – osserva – pagano le colpe dei padri e questo è inaccettabile. Dobbiamo ascoltarci e riconoscerci come persone. Questo permette il superamento della rabbia, dell’odio e della vendetta”.

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