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è ancora emergenza sanitaria

Coronavirus. Parla un medico di Pneumologia del Sant'Orsola (Bologna): "Al momento della riapertura solo i tamponi saranno utili. Siamo pronti per una nuova ondata di contagi?"

A colloquio col dottor Luca Fasano. "Meglio due tamponi -  un tampone su tre è falsamente negativo - anche per ogni soggetto che è stato a contatto con il malato. Penso ai familiari, colleghi di lavoro, personale sanitario che lo ha assistito con dpi inadatti perché il paziente non era sospetto o aveva un precedente tampone negativo" 

La vita al tempo del Coronavirus. Foto Sandra e Urbano - Fotografi, Cesena

“È mezzanotte e tre quarti, da più di un’ora ho spento la luce: devo riposare dopo 10 ore continue in ospedale di domenica, bevendo un cappuccino alle 15, senza mangiare perché le brioches erano finite. Domani altre 12 ore in consulenza tra gli ammalati con Covid-19 e i giovani specializzandi, delle branche più disparate, che cercano di aiutarli insieme a infermieri presi a caso dagli ambulatori che sono stati chiusi per l’emergenza”. Inizia con queste parole la testimonianza resa dal dottor Luca Fasano, impegnato in Pneumologia al Sant’Orsola di Bologna, ora trasformato in reparto di Terapia intensiva e sub-intensiva Covid-19, pubblicata il 30 marzo scorso sul sito del distretto Rotary Emilia-Romagna.

Scrive ancora il dottore: “Ho ancora troppa adrenalina addosso: oggi stavo entrando a visitare/salutare un collega infettato sul lavoro, avevo infilato ai piedi i sacchetti della spazzatura che sostituiscono i calzari che non ci sono, indossato il camice di plastica, la doppia cuffia, i doppi guanti, la visiera, mi dirigevo verso la porta… un brivido: ho sbagliato la sequenza di vestizione ed indossato solo la mascherina chirurgica che protegge gli altri da me, NON me dal virus. La Ffp2 è nella tasca della casacca, riposta nella bustina dove la devo mettere dopo essere stato in ogni camera perché deve durare per in giorno intero (si ha diritto ad una sola maschera al dì, che si ritira, firmando al mattino, anche se la maschera dura ben meno di un turno), quindi non è sul carrello della vestizione. Mi ero distratto a pensare a come avrei trovato questo mio conoscente, cosa mi avrebbe detto e chiesto. Devo spogliarmi per cercarla… sequenza di svestizione”.

E poi aggiunge: “Per entrare in camera ho impiegato 30 minuti ed occupato un operatore sociosanitario che mi ha aiutato, e creato la coda tra chi doveva uscire dalla porta virtuale tra sporco e pulito: due cerotti stesi a terra per fermare un pannolone, imbevuto di disinfettante ed usato come stuoino, ed altri due cerotti larghi uno con scritto “zona sporca” ed il secondo con scritto “area pulita”. Le due zone sono delimitate da un lungo nastro adesivo che separa virtualmente il corridoio in due corsie: quella “sporca”, con il pavimento inquinato dal virus dove si gira bardati e dà accesso alle camere di degenza, e quella “pulita”, dove si gira in divisa, in teoria con la maschera filtrante che però deve aderire al viso perfettamente e dopo tante ore crea lesioni sul volto e poi si “esaurisce” e dobbiamo usarla più del suo “tempo di vita” per cui viene sostituita ogni tanto dalla mascherina chirurgica”. 

Sono trascorsi solo 20 giorni da quel racconto, ma pare sia passato un anno intero, tanto sembrano lontani quegli scenari, almeno nell’immaginario della gente comune. Nei momenti di maggiore afflusso, il dottor Fasano ha visitato anche 20-25 ammalati di Coronavirus al giorno.

Abbiamo raggiunto il medico ieri sera, dopo diversi giorni a rincorrerci a vicenda al telefono tra i mille impegni di chi è in primissima linea nella battaglia contro la pandemia. Ora i più vorrebbero ripartire con una certa normalità, ma i dubbi sono ancora tanti, in particolare negli addetti ai lavori. 

Dottore, lei che ne pensa in merito? Quali comportamenti dovremmo tenere in vista di una riapertura delle attività? 

Il virus Sars Cov-2 non scomparirà magicamente il 4 maggio per cui dovremo aspettarci di seguire regole, e le regole, a mio avviso, dovrebbero avere una base razionale: cercare di evitare contagi. 

Che fare per evitarli? 

Per evitare contagi dovrà esserci la minor quantità possibile di virus in circolazione in modo da essere esposti a "pochi" virus. Dovremmo usare mascherine chirurgiche, almeno nei luoghi chiusi, perché queste mascherine proteggono gli altri dai virus che gli infettati emettono respirando. Dovremmo rispettare le distanze perché quanto più saremo lontani dagli altri tanto meno sarà probabile inalare i virus che gli altri espireranno. Ma dovremmo anche e soprattutto andare letteralmente a caccia delle persone infette che possono infettare gli altri. Per questo dovranno essere fatti il maggior numero di tamponi possibile: io dico almeno due tamponi per i pazienti che devono uscire dalla quarantena dopo la Covid19, anche per quei pazienti per i quali la diagnosi è stata fatta sulla base dei sintomi senza fare un tampone di conferma  perché, se è stata fatta una diagnosi e prescritta una terapia, si deve avere la conferma che il paziente in cura non sia più infettante. Questo tampone a oggi non viene sempre fatto. 

È sufficiente? 

No. Dovrà fare il tampone. Anzi meglio due, perché un tampone su tre è falsamente negativo, anche ogni soggetto che è stato a contatto con il malato. Penso ai familiari, colleghi di lavoro, personale sanitario che lo ha assistito con dispositivi di protezione personale inadatti perché il paziente non era sospetto o aveva un precedente tampone negativo. 

Quindi, lei cosa consiglierebbe? 

In questo momento di difficoltà economica e organizzativa ogni sforzo economico e organizzativo dovrebbe essere fatto per eseguire più tamponi possibili. I test sierologici ci diranno, quando saranno validati, se un soggetto ha avuto un contatto con il virus tale da indurre una risposta immunologica; non ci dicono se qui e adesso quel soggetto è infetto e infettante e, per il momento, non ci possono nemmeno dire se un soggetto con anticorpi dosabili nel sangue possa reinfettarsi e riammalarsi. I test sierologici avranno un valore epidemiologico quando saranno validati, ma non ci diranno se quel soggetto è infettante e, quindi, se quel soggetto deve essere sottoposto a quarantena. 

Quindi si sbaglia a spostare l’attenzione su quei test? 

Al momento della riapertura i test sierologici non saranno funzionali a ridurre i contagi. Solo i tamponi saranno utili. Per aver meno virus nell'aria occorrono tre fatti: 1) mettere in quarantena il maggior numero di soggetti infettanti che possono essere "tracciati" attualmente solo con i tamponi. E in questo siamo deficitari perché si fanno troppi pochi tamponi. 2) Utilizzare tutti le mascherine chirurgiche, così che coloro che inconsapevolmente infettano, essendo asintomatici, emettano nell'aria minor quantitativo possibile di virus. 3) Osservare il distanziamento sociale e ridurre gli assembramenti soprattutto nei luoghi chiusi. 

Se così non si facesse, che potrebbe accadere? 

Per la carenza nel numero dei tamponi eseguiti alle persone potenzialmente infette potrebbe essere che la riapertura programmata per maggio induca un nuovo incremento dei contagi: una seconda ondata. Questo periodo di limitazioni della libertà individuale serviva a ridurre i contagi così da non sovraccaricare le strutture ospedaliere, soprattutto le terapie intensive, e a prepararci per affrontare meglio la malattia sia dal punto di vista strutturale, attrezzando nuovi letti di terapia intensiva, sia da quello farmacologico. Visto che la malattia è nuova, noi medici abituati alla medicina basata sulle evidenze abbiamo dovuto fare una rivoluzione culturale applicando a questi pazienti tecniche di supporto dell'ossigenazione e terapie farmacologiche che sapevamo essere efficaci in altre malattie, ma di cui non conoscevamo l'utilità in questi pazienti. Nel giro di un mese abbiamo scoperto che l'insufficienza respiratoria non era uguale a quella che conoscevamo, che anche con valori di ossigenazione bassissimi i pazienti facevano poca fatica a respirare, che le embolie polmonari giocavano un ruolo importante. Abbiamo capito che il virus scatena una reazione infiammatoria responsabile della gravità dell'insufficienza respiratoria e che la terapia antiinfiammatoria è fondamentale per limitare i danni indotti dall'infezione. Utilizziamo in fase precoce gli antivirali, ma non abbiamo ancora farmaci efficaci contro questo virus, ed eventualmente antibiotici. Poi utilizziamo farmaci antiinfiammatori (cortisonici, anti Interleuchina 6...). Gli anticoagulanti sono un altro mattoncino importante per prevenire le embolie e il supporto con ossigeno e ventilazione è fondamentale per guadagnare tempo e permettere all'organismo di riprendersi. Ancora oggi però non c'è alcun farmaco o approccio terapeutico di cui siamo certi dell'efficacia secondo i parametri che utilizzavamo fino a tre mesi fa. Davanti a questi scenari, mi chiedo, siamo ancora pronti per una nuova ondata di contagi?

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