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Ivg ed Emilia-Romagna: un primato di cui potevamo fare a meno

La nostra Regione è la prima ad avere applicato le indicazioni ministeriali per la Ru486

Ivg ed Emilia-Romagna: un primato di cui potevamo fare a meno

Emilia Romagna, la prima Regione ad adeguarsi alle disposizioni nazionali circa la possibilità di utilizzare, d’ora in poi, la pillola Ru486 fino alla nona settimana di gravidanza. Il limite, finora, era alla settima. Quindi, tecnicamente parlando, si passa “dal 49° al 63° giorno di amenorrea”.

A mettere in atto l’adeguamento “una determina della direzione generale dell’assessorato alle Politiche per la salute”. Nel stesso comunicato dei giorni scorsi si legge anche che “La Regione, inoltre, è al lavoro per individuare i criteri per consentire l’uso del farmaco non solo in day hospital, ma anche in regime ambulatoriale”. Inoltre, per bocca dell’assessore Raffaele Donini, apprendiamo che alla base del procedimento c’è la volontà di “garantire gli stessi diritti alle donne, dall’altro continuare a offrire loro aiuto e assistenza lungo l’intero percorso, attraverso strutture e personale altamente qualificato”.

Sempre dal comunicato apprendiamo che, in base ai “dati: ivg in calo, sia tra italiane che straniere”, comunque, mentre “prevale ancora l’intervento chirurgico, è in aumento il ricorso alla RU486”.

In evidenza subito, a titolo del comunicato, un dato apparentemente positivo: “Interruzione volontaria di gravidanza, in Emilia-Romagna continua il calo: -45% dal 2004 al 2018. Il Report 2019: l’anno scorso il numero più basso di interventi (6.501) dal 1980”.

In realtà, mentre i riflettori sono oggi puntati sulla Ru486, e la posibilità di usarla in un periodo più ampio, c’è tutta un’altra serie di pillole il cui consumo non è di facile controllo: dalla pillola del giorno dopo a quella dei cinque giorni dopo, per citare le più note. Cose che non consentono affatto di confermare il calo degli aborti, se non di quelli eseguiti in struttura. Magari allo scopo di ridurre la spesa pubblica, più che per garantire i diritti alle donne.

 

La parola al bambino mai nato

In tutto questo, l’indifeso, l’ultimo della società, è lui, il bambino mai nato. Non il feto, o l’ammasso di cellule ancora senza forma, ma il bambino mai nato.

Scientificamente, alla base dell’obiezione di coscienza di tanti medici non c’è mica la voglia di non lavorare, ma la consapevolezza che l’ovulo fecondato ha in sé già tutto del futuro essere umano. Perfino la forma dei piedi, piuttosto che del cuore. Gli manca solo la parola.

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