Dall'Italia
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il ritorno in classe

La preside Migani di Bergamo alla vigilia del rientro a scuola: "Sento nel cuore una grande responsabilità"

"Si è imparato a riconoscere il valore della scuola come punto di riferimento della collettività e sicuro approdo per le ansie delle famiglie", aggiunge la dirigente che aggiunge: "Rifarei l'appello del marzo scorso. Mentre alcuni cantavano sui balconi, qua si moriva e il mostro ci stringeva d'assedio. Ma poi ho conosciuto un'Italia nascosta, alla quale mi vanto di appartenere"

Foto archivio Ansa/SIR

Lo sfogo della preside Veronica Migani, pubblicato sul nostro sito il 18 marzo scorso, fece più volte il giro d'Italia. Solo da noi contò decine e decine di migliaia di contatti. Fu un vero e proprio pugno nello stomaco per tanti di noi. Una salutare presa di coscienza per chi, forse anche qui da noi in Romagna, non si stava accorgendo di ciò che era successo in Lombardia e in gran parte della provincia di Bergamo e nelle sue valli. "Scusate, ma qua si è inceppata la didattica a distanza. È un'ecatombe e il dolore rimane chiuso dentro le case", scrisse la dirigente in una chat tra colleghi cui noi assicurammo spazio. "Si sente che non siamo soli e che l'Italia c'è", aggiunse al telefono la preside. Ora l'abbiamo raggiunta di nuovo e l'abbiamo intervistata alla vigilia del rientro in classe in Lombardia previsto per domani. Ora la professoressa Migani guida un istituto professionale in città a Bergamo, il "Cesare Pesenti". 

Preside, tornate a scuola dopo tutto quello che è successo sia da voi sia in gran parte d’Italia. Con quale spirito tornate? Quali sono i sentimenti dei suoi studenti e dei loro genitori?

Si torna con una gran voglia di vivere e di ritrovare una parvenza di normalità. Sia gli studenti che i genitori cercano di riequilibrarsi sulla linea della scuola, come se fosse una delle poche strade battute in grado di condurci a destinazione. Alcuni docenti sono invece preoccupati per la loro salute, ancorché contenti di ritornare...

Cosa ha lasciato in voi la bufera della scorsa primavera? Cosa si è imparato e cosa invece è rimasto come prima?

È rimasto un grande silenzio. I bergamaschi di norma non esprimono apertamente i sentimenti, ma il silenzio sulla tragedia che hanno passato fa un rumore più assordante degli altri. I dolori individuali sono anche collettivi, ma in alcuni hanno lasciato segni che non si cancellano con il passare dei mesi. Si è imparato a riconoscere il valore della scuola come punto di riferimento della collettività e sicuro approdo per le ansie delle famiglie, si sono ancora più apprezzati i momenti di svago nella natura e le lunghe passeggiate in montagna. Si sono anche riconosciuti gli amici e i compagni veri, mentre nulla è cambiato rispetto ad alcuni egoismi individuali.

Le ferite che si sono aperte durante la prima andata sanguinano ancora?

Sì. Il ricordo delle vittime è vivissimo. Ci sono molte persone inconsolabili e ancora incredule. Alcuni cercano di cicatrizzare le ferite con azioni concrete (lo spirito lombardo!) quali attività in memoria dei defunti, cerimonie commemorative o simboli collettivi in ricordo. Altri si sono chiusi in se stessi, in attesa del balsamo del tempo. Altri scaricano il dolore in azioni di ricerca della verità su quanto è accaduto a livello sanitario.

Il desiderio di ripartire è presente nel mondo della scuola? Questo lungo periodo di didattica a distanza come ha inciso sugli studenti? Su quelli in città e su quelli che vivono nelle valli dove il virus ha mietuto più vittime...

La scuola è una parte del contesto cui accennavo sopra. Viaggia oscillando tra il desiderio di normalità e la nube di paura che ci avvolge. La didattica a distanza ha certamente sconvolto il ritmo di vita e le relazioni degli studenti, paradossalmente accrescendo il rapporto tra genitori e insegnanti. Alcuni studenti si stanno perdendo lungo la via, non perché privi di strumenti informatici per seguire le lezioni, ma per la fatica di una mancanza di relazione diretta con compagni e insegnanti. È come se dovessero gestire da soli la propria istruzione, autoregolandosi in autonomia, diventando indipendenti e insegnanti di se stessi, e questo è molto faticoso da giovani. Riscontro maggiore serenità negli studenti più giovani, perché hanno l'aiuto concreto dei familiari, e in quelli più grandi delle scuole tecniche e professionali, a cui si offrono lezioni molto interattive. I liceali mi pare siano coloro che soffrono di più, forse perché costretti ad una didattica più trasmissiva e tradizionale, inefficace se  applicata con la Dad.

Con quale sentimenti si approccia ogni mattina alla sua scuola? Quale la maggiore preoccupazione? E quale la speranza?

Confesso che ho paura. Ho trascorso insieme con i miei colleghi tutta l'estate a predisporre le misure di sicurezza per il rientro, e in seguito per brevi periodi le ho viste in opera. Sento nel cuore la responsabilità della salute di tutti, e ogni informazione di contagio di uno studente o del personale mi trasmette una fortissima ansia. Per fortuna osservo come gli studenti siano davvero rispettosi dei protocolli e consapevoli del rischio e del pericolo che i loro comportamenti superficiali potrebbero produrre sugli altri. Mi pare una concreta lezione di educazione civica anche questa, che fa ben sperare nel futuro.

Il suo appello del marzo scorso fece più volte il giro d’Italia. Ebbe l’effetto di svegliare molte coscienze. Lo rifarebbe?

Sì, lo rifarei. Mentre ancora in altre regioni si cantava sui balconi con malinconia e desiderio di vita, qua si moriva e il mostro ci stringeva d'assedio. Mi sentivo impotente e inutile, ma non lo ero più. Decine di colleghi e di persone della società civile, insieme con il Ministero dell'Istruzione, ci hanno aiutato con affetto e intelligenza. È stata un'esperienza straordinaria e indimenticabile. Ho conosciuto l'Italia che sospettavo si celasse sotto le urla e le azioni sconsiderate di alcuni. L'Italia migliore, alla quale mi vanto di appartenere...

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