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la giornata del migrante e del rifugiato

Papa Francesco non si dimentica del grido degli ultimi. L'Elemosiniere in visita nelle baraccopoli

La risposta alla sfida posta dalle migrazioni contemporanee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare

Foto Elemosineria Apostolica

Nei giorni che precedono immediatamente la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, domenica 29 settembre, papa Francesco ha mandato il suo elemosiniere, il cardinale Konrad Krajewski, a visitare i cosiddetti “ghetti” dell’area della Capitanata nel foggiano. Ne dà notizia la Sala stampa della Santa Sede.

Ieri, venerdì 27, l’Elemosiniere, accompagnato dal vescovo di San Severo, monsignor Giovanni Checchinato, e dall’arcivescovo di Foggia-Bovino, monsignor Vincenzo Pelvi, si è recato in due di questi insediamenti, in forma di baraccopoli o masserie abbandonate, per incontrare migliaia di lavoratori agricoli, per la maggior parte migranti provenienti dall’Africa (principalmente dalla Nigeria, Ghana, Senegal e Gambia), che vivono in condizioni di grave precarietà a livello giuridico, abitativo e sanitario.

Con questo gesto il Pontefice desidera essere vicino a tutte queste persone vittime dello sfruttamento, dell’emarginazione e dell’esclusione, portare ad essi una parola di speranza e farsi voce del loro grido di aiuto in una società che sviluppa “al proprio interno la tendenza a un accentuato individualismo che, unito alla mentalità utilitaristica e moltiplicato dalla rete mediatica, produce la globalizzazione dell’indifferenza” (Messaggio del Santo Padre Francesco per la 105.ma Giornata mondiale del Migrante e Rifugiato 2019).

Questa visita vuole far risuonare con forza le parole di papa Francesco: “La risposta alla sfida posta dalle migrazioni contemporanee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Ma questi verbi non valgono solo per i migranti e i rifugiati. Essi esprimono la missione della Chiesa verso tutti gli abitanti delle periferie esistenziali, che devono essere accolti, protetti, promossi e integrati. Se mettiamo in pratica questi verbi, contribuiamo a costruire la città di Dio e dell’uomo, promuoviamo lo sviluppo umano integrale di tutte le persone e aiutiamo anche la comunità mondiale ad avvicinarsi agli obiettivi di sviluppo sostenibile che si è data e che, altrimenti, saranno difficilmente raggiunti” (ibidem).

La realtà dei dimenticati e la visita a due ghetti

L’area della Capitanata, in provincia di Foggia, a prevalente vocazione agricola, è interessata da una forte presenza di lavoratori stagionali che si aggregano in insediamenti informali, occupando casolari abbandonati oppure costruendo vere e proprie baraccopoli.
I lavoratori agricoli, per la maggior parte migranti provenienti dall’Africa (soprattutto da Nigeria, Ghana, Senegal e Gambia) e qualcuno dall’Est europeo (rumeni e bulgari), vivono in condizioni di grave precarietà a livello giuridico, abitativo, sanitario.
Il fenomeno di grave sfruttamento lavorativo è alimentato dalla mancanza di meccanismi di efficace reclutamento formale dei lavoratori e di fornitura di alloggi da parte dei datori di lavoro. Nascono così i cosiddetti “ghetti”, in forma di baraccopoli o masserie abbandonate, con scarso o assente accesso ad acqua potabile, inesistente sistema fognario e fittizie forme di riscaldamento, in una zona con inverni molto rigidi.

La raccolta del pomodoro segna il massimo numero di presenze da luglio a settembre: in questi mesi di raccolta intensiva almeno 6.000 persone cercano riparo nelle baraccopoli e nelle masserie abbandonate.
I più grandi insediamenti dell’area sono l’ex Pista aeroportuale di Borgo Mezzanone, il Gran Ghetto di Rignano Scalo (Località Torretta Antonacci), il Ghetto Ghana di Borgo Tre titoli, e una moltitudine di masserie occupate a macchia di leopardo in un raggio di 50 km da Foggia.
Il primo ghetto visitato dall’Elemosiniere del Papa e dal Vescovo di San Severo è il Borgo Mezzanone, frazione del comune di Manfredonia: si tratta di una piccola comunità rurale di circa 800 abitanti, appartenente alla Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo.
Da un ventennio, a poco meno di un chilometro dalla borgata, l’ex aeroporto militare dell’Amendola è adibito e usato per l’emergenza dei profughi, prima della vicina Albania e successivamente dei migranti dell’Africa e Asia che chiedono protezione nel nostro Paese.
Oggi il Cara di Borgo Mezzanone conta una presenza di circa un centinaio di richiedenti asilo, su una capienza di 450 posti. A poca distanza, nel luogo chiamato «ex pista», 1.500 persone, di diversa nazionalità, sono accampati in container o baracche di fortuna. Negli ultimi mesi, sono stati compiuti diversi interventi di abbattimento di edifici e baracche , con l’obiettivo di smantellare nel minor tempo possibile l’intero ghetto, ricollocando i migranti in “luoghi” più dignitosi che favoriscano anche un percorso d’integrazione. La buona volontà delle Istituzioni, tuttavia, sembra non seguire un lavoro coordinato per la soluzione della questione.

Il secondo insediamento visitato è il cosiddetto Gran Ghetto, che sorge in Località Torretta Antonacci, nel territorio del Comune e della Diocesi di San Severo, a 25 Km da San Severo. Circa 20 anni fa, a Rignano Scalo, a metà strada fra San Severo e Foggia, venne sgomberato il primo Gran Ghetto, che la comunità dei lavoratori aveva creato in un ex zuccherificio. Dopo lo sgombero, la comunità dei lavoratori si insediò in un’area distante 15 minuti in automobile, immersa nelle campagne.
Dopo quasi 20 anni dalla sua nascita, nel marzo del 2017, il Gran Ghetto venne sgomberato con il sequestro dell’intera area da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari. Quest’ultima propose a una piccola quota degli abitanti, un’alternativa abitativa composta da tende e container o presso strutture comunali nel centro abitato di San Severo, senza riuscire a trovare soluzioni reali e dignitose all’emergenza.
Nell’incendio scoppiato nella notte tra l’1 e il 2 marzo 2017, poche ore prima dello sgombero del Gran Ghetto, persero la vita due giovani del Mali di circa 30 anni, Mamadou Konate e Nouhou Doumbouya.
Immediatamente dopo lo sgombero, una parte della comunità si è riversata in altri insediamenti della Capitanata, primo fra tutti l’ex Pista di Borgo Mezzanone, e un’altra parte ha ricostituito, nello stesso punto dello sgombero, il Gran Ghetto, con un gran numero di roulotte e di baracche. Se ne contano oltre 400.
Le persone abitano in questo insediamento per tutto l’anno: il numero delle presenze varia dalle 200 unità nei mesi invernali, quando il lavoro nei campi diminuisce, fino alle oltre 800-900 unità nei mesi in cui si svolge la raccolta del pomodoro-uva-olive.

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