presa di posizione
"Uomini a terra", l'editoriale del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio
Dopo le uccisioni di migranti in Libia, rilanciamo l'intervento pubblicato ieri

Uomini a terra. Assassinati. E non importa dirne oggi il numero perché il loro sangue versato riassume e grida quello di ogni uomo e donna e bambino seviziato, fucilato, annegato o lasciato irrimediabilmente agonizzare lungo la strada della desolata speranza che attraversa il Sahara e s’inabissa nel mare che chiamiamo Mediterraneo e che diciamo nostro.
Uomini a terra. Uccisi sotto gli occhi dei funzionari dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni dai 'guardacoste' libici per aver cercato di non tornare nei campi di concentramento, da cui erano usciti a caro prezzo, che ancora costellano il Paese nordafricano, luoghi del dolore e dell’ingiustizia, definiti 'lager' anche dall’Onu, nei quali si consumano violenze di ogni tipo e si organizza il traffico di esseri umani verso l’Europa.
Uomini a terra. Sulla banchina di Khums. E dal corpo di ognuno di essi non ci è né ci sarà mai consentito di distogliere lo sguardo, perché ogni tragica morte d’uomo ci riguarda, e perché i proiettili che li hanno trafitti sono pagati anche con soldi italiani. Il voto delle Camere e le parole di carta di politici senza saggezza e senza verità hanno appena rinnovato lo sconcio: anche l’Italia arma banditi in divisa e li nomina sceriffi. Chi ha testa e cuore, che sieda al Governo, in Parlamento o sia semplicemente un cittadino non rinunci a fare i conti con questo pensiero: c’è qualche centesimo anche delle nostre tasse nella moderna 'libbra di polvere da sparo' che ha regolato una volta per tutte dei 'senza regola' che ancora s’illudevano di fuggire la sofferenza e la sopraffazione.
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