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Verso gli Europei under 21: apre i battenti la mostra “Storie di calcio” con tanti cimeli e memorabilia

La povertà è ancora di casa da queste parti, dove ai tempi dell’unificazione piemontese, complice un decreto che impediva la costruzione di abitati aldilà dell’isola, vivevano circa 30.000 persone. Attualmente sono 1.500. Uno svuotamento lento ma sollecitato dall’episodio del crollo di una palazzina, nel 1975: vico Reale, sei morti e migliaia di persone costrette ad abbandonare una vita che era quella di un piccolo paese

Foto agensir.it

Una città che “brilla sui due mari come un gigantesco diamante in frantumi (…) Viverci è come vivere all’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta. Qui Taranto nuova, là, gremita, Taranto vecchia, intorno i due mari e i lungomari”. Pier Paolo Pasolini descriveva così il capoluogo ionico a metà del secolo scorso. E quella caratteristica di grazia, fierezza e malinconia, di pietra preziosa scheggiata e poi frantumata da scelte necessarie quanto nefaste, a guardarle con gli occhi facili dell’oggi, Taranto continua a conservarla, soprattutto nell’isola, la Città vecchia, il fulcro della tarantinità. Vicoli strettissimi per difendersi dalle invasioni, case scoscese, spesso diroccate, in cui pure oggi, talvolta, mancano i più elementari criteri di vivibilità. La povertà è ancora di casa da queste parti, dove ai tempi dell’unificazione piemontese, complice un decreto che impediva la costruzione di abitati aldilà dell’isola, vivevano circa 30.000 persone. Attualmente sono 1.500. Uno svuotamento lento ma sollecitato dall’episodio del crollo di una palazzina, nel 1975: vico Reale, sei morti e migliaia di persone costrette ad abbandonare una vita che era quella di un piccolo paese, con le donne, in realtà adolescenti già spose, a darsi voce dai balconi quasi comunicanti, i bambini a giocare per strada, gli uomini a pescare fin dalla notte. Sfrattati dall’isola per abitare grandi palazzoni ai margini, in periferia, mentre il resto della comunità ionica disconosceva le sue stesse radici. Per anni Taranto vecchia è stata, in buona parte, il luogo dello spaccio, della delinquenza spicciola, della disoccupazione e della fame.

Un luogo da cui tenersi lontani. Chi si è salvato, tra i giovani, lo ha fatto grazie all’educazione ed i valori ricevuti in famiglia ma è stato un percorso in salita.
L’ultimo ventennio però, complice l’idea di riqualificazione dei centri storici, ha segnato un cambiamento. Meno criminalità, forse anche perché “i pesci grossi” sono finiti in carcere o si sono trasferiti in altri rioni e tanta voglia di riscatto sociale, di camminare con le proprie gambe, aldilà dell’assistenzialismo, con cui l’isola ha sempre fatto i conti.
La diocesi di Taranto ha colto questo mutamento, di cui è stata in parte artefice. Rimettere al centro l’isola è uno degli aspetti centrali dell’operato dell’arcivescovo ionico, mons. Filippo Santoro. Nel 2014 la curia locale aveva già impiegato 2 milioni di euro, in parte ottenuti dal Ministero dei beni Culturali e dalla Provincia, per mettere in sicurezza la chiesa di Santa Caterina, risanare l’ex seminario, dove è stato collocato il Mudi (Museo Diocesano), così come palazzo Visconti, ora sede dell’istituto di Scienze Religiose Romano Guardini o l’episcopio, aperto in questo modo alle visite guidate. L’attenzione è stata puntata anche sul duomo, con il rifacimento della facciata, degli interni, l’installazione di nuova illuminazione e di un impianto di sorveglianza, oltre il restauro del Cappellone, ribattezzato la Cappella Sistina del Mezzogiorno. E poi si devono alla curia locale i lavori di ristrutturazione nella chiesa della Madonna della Salute, ormai riaperta al culto e alla grande devozione dei tarantini dopo decenni di buio ed il nuovo centro di accoglienza per senza fissa dimora, alle spalle dell’arcivescovado, all’interno di Palazzo Santacroce, edificio nobiliare dell’800 completamente restaurato, perché – disse mons. Santoro in occasione dell’inaugurazione – “tutti, anche i più poveri, hanno diritto alla bellezza”.
Don Emanuele Ferro è parroco della Cattedrale di san Cataldo dal 2015. Ottimista, sognatore ma con i piedi ben piantati in terra, dal primo giorno ha creduto nelle potenzialità dell’isola e dei suoi abitanti. Soprattutto i ragazzi. Sue le idee, solo per citarne alcune, di impiegare i giovani in botteghe di restauro, in una cooperativa all’interno del museo diocesano, in un infopoint del Duomo.

L’ultima iniziativa in cui ha coinvolto stavolta i più piccoli, è una scuola calcio educativa nell’oratorio della vicina chiesa di san Giuseppe, insieme alla fondazione Pupi di Javier e Paula Zanetti e al tarantino Dino Ruta, docente di management sportivo all’università Bocconi di Milano.

È stato Ruta, insieme alla sorella Angela, che invece vive nel capoluogo ionico, a far incontrare il sacerdote e lo storico capitano dell’Inter, oggi vicepresidente nerazzurro, convogliando i loro entusiasmi in un progetto per i bambini della Città vecchia, chiamato Sport4Taranto.
“È un progetto importante che si inserisce nella scia di quell’azione di risanamento, di rivalutazione e di racconto positivo della città di Taranto, operato nel ministero pastorale dell’arcivescovo di Taranto monsignor Filippo Santoro. Tanti parlano di rinascita della Città vecchia ma sono pochi quelli che guardano a questi ragazzi come l’unica speranza dell’isola. Qui i progetti sono i più belli – racconta don Emanuele – alberghi, palazzi, stazioni navali ma dobbiamo insegnare a questi ragazzi a vincere la partita della vita, perché ne hanno bisogno. Loro sono bravi, qui ancora giocano per strada, ancora non si perdono dietro al telefonino. Sono ancora capaci di socializzare, di stare insieme e questa è la nostra forza. Adesso abbiamo bisogno di persone che li sappiano incoraggiare e guardare per quello che realmente sono, un tesoro di questa città non un problema. Loro sono la nostra possibilità”.
“Quest’opera – ha sottolineato mons. Santoro – ha per obiettivo l’educazione dei giovani. I ragazzi hanno bisogno di opportunità. La città vecchia, come tutta la città, non è agonizzante.

Abbiamo seri e gravi problemi però anche tutte le possibilità per un cammino positivo, partendo dal bene.

Il bello non ce lo dobbiamo inventare ma dobbiamo solo avere il coraggio di raccontarlo. Taranto ha in sé la forza per ripartire. Speriamo che i ragazzini in questa scuola imparino a lavorare insieme, che è la cosa più importante per la nostra città”.
“Daremo 30 ‘borse di sport, di allenamento’ per altrettanti ragazzi. L’obiettivo – ha specificato Dino Ruta – non è trovare necessariamente un campione ma praticare lo sport per capire come si possono sviluppare i propri talenti. Ognuno di noi è nato per fare qualcosa di bello nella vita e deve solo scoprire cosa. Con Sport4Taranto ci saranno degli allenatori preparati che insegneranno non solo a vincere ma soprattutto il rispetto delle regole, dell’avversario e dell’arbitro. Insegneranno ad essere costanti negli allenamenti ed andare bene a scuola. Sarà come una borsa di studio, con delle graduatorie rispetto al comportamento, al regolamento, ai principi del progetto, al rendimento scolastico. È un’idea rivolta solo a chi è determinato e vuole utilizzare questa come un’opportunità per imparare, crescere e realizzare i propri sogni”.
“Educazione e sport sono parole fondamentali per la nostra fondazione. Dal 2001 – ha spiegato Javier Zanetti – già diamo il nostro contributo in Argentina, speriamo di poter portare anche qui la stessa energia ma abbiamo bisogno di tutti, non si può far niente da soli. Fuori Milano, questo è il primo progetto in Italia che sposiamo. Sono convinto che ci siano i presupposti per fare bene qui a Taranto”.

Fonte: Sir
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