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Benedetto XVI: l'inno alla coscienza, la sua eredità

Una preziosa eredità da coltivare e condividere

Benedetto XVI durante un'udienza generale. Foto Ansa/SIR

È l’immagine di un volto sereno e mite quella che apre il ricordo di Benedetto XVI, uno sguardo che rifletteva la profondità intellettuale e spirituale di un uomo di preghiera, di pensiero, di parola.
È l’immagine di un uomo che di buon mattino con passo veloce e leggero attraversava piazza San Pietro per recarsi al palazzo della Congregazione per la dottrina della fede. Lo si incrociava con il desiderio di porgergli un saluto che ricambiava con amabilità interessandosi del lavoro di chi lo stava salutando.

È l’immagine del Papa che alla Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia 2005, immerso nel fiume dei giovani, sembrava smarrito mentre era affascinato da quella voglia di vivere e da quell’ attesa di una parola nuova. E poi alla Gmg di Madrid 2011 quando un furioso temporale serale lo costrinse a lasciare a malincuore il luogo ma non i giovani che lì si erano radunati e con i quali il mattino dopo condivise la trepidazione per la notte sotto la pioggia.

A queste immagini giornalistiche se ne affiancano altre che richiamano momenti della vita, del pontificato, richiamano gesti di amore alla Chiesa e parole intrise di passione per la Verità, per il colloquio tra la ragione e la fede.

Il filo robusto di un’umiltà radicata nel Vangelo legava immagini e parole che facevano trasparire nel suo sguardo la tenerezza di Dio. E con questo filo si intrecciava quello della cura della coscienza, del luogo in cui avvengono la ricerca della Verità, l’incontro con la Verità.
Quanta attualità e quanta profezia nelle riflessioni e nel magistero di quegli anni.

La coscienza e la formazione della coscienza erano sempre state al centro delle preoccupazioni di Joseph Ratzinger, ne parlava con un linguaggio educativo che trasmetteva il senso, la fatica e la bellezza del pensare e del pensare la fede. Rivolgendosi a una Conferenza internazionale di studio nel 1994 ebbe a ricordare: che “alcuni dei maggiori crimini dei giorni nostri sono stati perpetrati, e lo sono tuttora, proprio in nome della coscienza individuale come se non esistesse una norma superiore. La coscienza non crea la verità ma si limita a individuarla e attuarla. Come insegna san Bonaventura la coscienza è come l’araldo e il messaggero di Dio, non impone le cose in nome della propria autorità ma le impone in quanto provenienti dall’autorità divina”.
L’inno alla coscienza accompagnò i suoi passi nel tempo, si levò nei momenti più difficili come fu quello della scelta di ritirarsi. È diventato la sua eredità.
Un’eredità da coltivare e condividere perché l’uomo nella tempesta della storia non smarrisca la direzione del cammino verso la felicità, perché il cristiano sia pronto a testimoniare e annunciare la Verità, compagna fedele e insostituibile della pace e della giustizia.

Fonte: Sir
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