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Papa Francesco: ai sacerdoti di Roma, “la nuova fase che iniziamo ci chiede saggezza, lungimiranza e impegno comune”

“Siamo chiamati ad annunciare e profetizzare il futuro, come la sentinella che annuncia l’aurora che porta un nuovo giorno: o sarà qualcosa di nuovo, o sarà di più, molto di più e peggio del solito", ha aggiunto Bergoglio

Foto archivio Vatican Media 22.4.2020

“La nuova fase che iniziamo ci chiede saggezza, lungimiranza e impegno comune, in modo che tutti gli sforzi e i sacrifici fatti finora non siano vani”. Lo scrive Papa Francesco nella lettera inviata ai sacerdoti della diocesi di Roma, non avendo potuto celebrare a livello diocesano la Messa crismale. La lettera porta la data del 31 maggio, solennità di Pentecoste, ed è stata diffusa oggi dalla Sala Stampa vaticana.

“Durante questo tempo di pandemia, molti di voi hanno condiviso con me, per posta elettronica o telefono, che cosa significava questa situazione imprevista e sconcertante. Così, senza poter uscire né avere un contatto diretto, mi avete permesso di conoscere ‘di prima mano’ ciò che stavate vivendo”, ricorda il Pontefice, sottolineando che, “sebbene fosse necessario mantenere il distanziamento sociale, questo non ha impedito di rafforzare il senso di appartenenza, di comunione e di missione che ci ha aiutato a far sì che la carità, specialmente con le persone e le comunità più svantaggiate, non fosse messa in quarantena. Ho potuto constatare, in quei dialoghi sinceri, che la necessaria distanza non era sinonimo di ripiegamento o chiusura in sé che anestetizza, addormenta e spegne la missione”.

“Incoraggiato da questi scambi”, il Santo Padre scrive ai sacerdoti per “essere più vicino” a loro “per accompagnare, condividere e confermare” il “cammino”: “La speranza dipende anche da noi e richiede che ci aiutiamo a mantenerla viva e operante; quella speranza contagiosa che si coltiva e si rafforza nell’incontro con gli altri e che, come dono e compito, ci è data per costruire la nuova ‘normalità’ che tanto desideriamo”.

“Tutti abbiamo ascoltato i numeri e le percentuali che giorno dopo giorno ci assalivano; abbiamo toccato con mano il dolore della nostra gente. Ciò che arrivava non erano dati lontani: le statistiche avevano nomi, volti, storie condivise. Come comunità presbiterale non siamo stati estranei a questa realtà e non siamo stati a guardarla alla finestra; inzuppati dalla tempesta che infuriava, voi vi siete ingegnati per essere presenti e accompagnare le vostre comunità: avete visto arrivare il lupo e non siete fuggiti né avete abbandonato il gregge”, scrive ancora papa Francesco nella lettera inviata oggi ai sacerdoti della diocesi di Roma. “Abbiamo patito la perdita repentina di familiari, vicini, amici, parrocchiani, confessori, punti di riferimento della nostra fede”, sottolinea il Pontefice, che, dopo aver citato il dolore di familiari che hanno perso cari, la fatica di operatori sanitari, la paura di lavoratori e volontari, la solitudine e l’isolamento soprattutto degli anziani; l’incertezza lavorativa e abitativa; la paura ancestrale del contagio, la povertà in cui sono cadute intere famiglie, il Santo Padre ammette: “Abbiamo sperimentato la nostra stessa vulnerabilità e impotenza. Come il forno prova i vasi del vasaio, così siamo stati messi alla prova. Frastornati da tutto ciò che accadeva, abbiamo sentito in modo amplificato la precarietà della nostra vita e degli impegni apostolici. L’imprevedibilità della situazione ha messo in luce la nostra incapacità di convivere e confrontarci con l’ignoto, con ciò che non possiamo governare o controllare e, come tutti, ci siamo sentiti confusi, impauriti, indifesi. Viviamo anche quella rabbia sana e necessaria che ci spinge a non farci cadere le braccia di fronte alle ingiustizie e ci ricorda che siamo stati sognati per la Vita”.

La complessità di ciò che si doveva affrontare, osserva Francesco, “non tollerava ricette o risposte da manuale; richiedeva molto più di facili esortazioni o discorsi edificanti, incapaci di radicarsi e assumere consapevolmente tutto quello che la vita concreta esigeva da noi. Il dolore della nostra gente ci faceva male, le sue incertezze ci colpivano, la nostra comune fragilità ci spogliava di ogni falso compiacimento idealistico o spiritualistico, come pure di ogni tentativo di fuga puritana. Nessuno è estraneo a tutto ciò che accade”. “Possiamo dire che abbiamo vissuto comunitariamente l’ora del pianto del Signore”, afferma il Papa.

“Le caratteristiche del virus fanno scomparire le logiche con cui eravamo abituati a dividere o classificare la realtà. La pandemia non conosce aggettivi, confini e nessuno può pensare di cavarsela da solo. Siamo tutti colpiti e coinvolti”, ha aggiunto il Pontefice. “La narrativa di una società della profilassi, imperturbabile e sempre pronta al consumo indefinito è stata messa in discussione, rivelando la mancanza di immunità culturale e spirituale davanti ai conflitti”, ha evidenziato il Pontefice. Una serie di vecchi e nuovi interrogativi e problemi “hanno occupato l’orizzonte e l’attenzione. Domande che non troveranno risposta semplicemente con la riapertura delle varie attività; piuttosto sarà indispensabile sviluppare un ascolto attento ma pieno di speranza, sereno ma tenace, costante ma non ansioso che possa preparare e spianare le strade che il Signore ci chiama a percorrere”. “Sappiamo che dalla tribolazione e dalle esperienze dolorose non si esce uguali a prima. Dobbiamo essere vigilanti e attenti”, aggiunge il Santo Padre, che mette in guardia: “Esposti e colpiti personalmente e comunitariamente nella nostra vulnerabilità e fragilità e nei nostri limiti, corriamo il grave rischio di ritirarci e di stare a ‘rimuginare’ la desolazione che la pandemia ci presenta, come pure di esasperarci in un ottimismo illimitato, incapace di accettare la reale dimensione degli eventi”.
Di qui l’invito: “Le ore di tribolazione chiamano in causa la nostra capacità di discernimento per scoprire quali sono le tentazioni che minacciano di intrappolarci in un’atmosfera di sconcerto e confusione, per poi farci cadere in un andazzo che impedirà alle nostre comunità di promuovere la vita nuova che il Signore Risorto ci vuole donare”. Infatti, “sono diverse le tentazioni, tipiche di questo tempo, che possono accecarci e farci coltivare certi sentimenti e atteggiamenti che non permettono alla speranza di stimolare la nostra creatività, il nostro ingegno e la nostra capacità di risposta. Dal voler assumere onestamente la gravità della situazione, ma cercando di risolverla solo con attività sostitutive o palliative aspettando che tutto ritorni alla ‘normalità’, ignorando le ferite profonde e il numero di persone cadute nel frattempo; fino al rimanere immersi in una certa paralizzante nostalgia del recente passato che ci fa dire ‘niente sarà più come prima’ e ci rende incapaci di invitare gli altri a sognare e ad elaborare nuove strade e nuovi stili di vita”.

“Siamo chiamati ad annunciare e profetizzare il futuro, come la sentinella che annuncia l’aurora che porta un nuovo giorno: o sarà qualcosa di nuovo, o sarà di più, molto di più e peggio del solito. La Risurrezione non è solo un evento storico del passato da ricordare e celebrare; è di più, molto di più: è l’annuncio della salvezza di un tempo nuovo che risuona e già irrompe oggi”, “è l’ad-venire che il Signore ci chiama a costruire. La fede ci permette una realistica e creativa immaginazione, capace di abbandonare la logica della ripetizione, della sostituzione o della conservazione; ci invita ad instaurare un tempo sempre nuovo: il tempo del Signore”, ha scritto ancora papa Francesco nella lettera inviata ai sacerdoti della diocesi di Roma.
“Se una presenza invisibile, silenziosa, espansiva e virale ci ha messo in crisi e ci ha sconvolto, lasciamo che quest’altra Presenza discreta, rispettosa e non invasiva – l’invito del Pontefice – ci chiami di nuovo e ci insegni a non avere paura di affrontare la realtà. Se una presenza impalpabile è stata in grado di scompaginare e ribaltare le priorità e le apparentemente inamovibili agende globali che tanto soffocano e devastano le nostre comunità e nostra sorella terra, non temiamo che sia la presenza del Risorto a tracciare il nostro percorso, ad aprire orizzonti e a darci il coraggio di vivere questo momento storico e singolare. Un pugno di uomini paurosi è stato capace di iniziare una corrente nuova, annuncio vivo del Dio con noi. Non temete!”.

“Lasciamoci sorprendere ancora una volta dal Risorto. Che sia Lui, dal suo costato ferito, segno di quanto diventa dura e ingiusta la realtà, a spingerci a non voltare le spalle alla dura e difficile realtà dei nostri fratelli. Che sia Lui a insegnarci ad accompagnare, curare e fasciare le ferite del nostro popolo”, ha esortato il Papa, invitando poi a lasciarsi “sorprendere anche dal nostro popolo fedele e semplice, tante volte provato e lacerato, ma anche visitato dalla misericordia del Signore. Che questo popolo ci insegni a plasmare e temperare il nostro cuore di pastori con la mitezza e la compassione, con l’umiltà e la magnanimità della resistenza attiva, solidale, paziente e coraggiosa, che non resta indifferente, ma smentisce e smaschera ogni scetticismo e fatalismo”. “Quanto c’è da imparare dalla forza del Popolo fedele di Dio che trova sempre il modo di soccorrere e accompagnare chi è caduto!”, osserva Francesco. “La Risurrezione è l’annuncio che le cose possono cambiare – evidenzia -. Lasciamo che sia la Pasqua, che non conosce frontiere, a condurci creativamente nei luoghi dove la speranza e la vita stanno combattendo, dove la sofferenza e il dolore diventano uno spazio propizio per la corruzione e la speculazione, dove l’aggressività e la violenza sembrano essere l’unica via d’uscita”.

“Come sacerdoti, figli e membri di un popolo sacerdotale, ci spetta assumere la responsabilità per il futuro e proiettarlo come fratelli. Mettiamo nelle mani piagate del Signore, come offerta santa, la nostra fragilità, la fragilità del nostro popolo, quella dell’umanità intera”. È l’invito conclusivo che papa Francesco rivolge ai sacerdoti di Roma nella lettera. “Il Signore è Colui che ci trasforma, che si serve di noi come del pane, prende la nostra vita nelle sue mani, ci benedice, ci spezza e ci condivide e ci dà al suo popolo”, ha aggiunto il Pontefice. “Partecipiamo con Gesù alla sua passione, la nostra passione, per vivere anche con Lui la forza della risurrezione: certezza dell’amore di Dio capace di muovere le viscere e di uscire agli incroci delle strade per condividere ‘la Buona Notizia con i poveri, per annunciare la liberazione ai prigionieri e la vista ai ciechi, per dare libertà agli oppressi e proclamare un anno di grazia dal Signore’, con la gioia che tutti possono partecipare attivamente con la loro dignità di figli del Dio vivente”, l'esortazione del Santo Padre.
“Tutte queste cose, che ho pensato e sentito durante questo tempo di pandemia, voglio condividerle fraternamente con voi, perché ci aiutino nel cammino della lode al Signore e del servizio ai fratelli. Spero che a tutti noi servano per ‘amare e servire di più’”, la conclusione del Papa, invitando, ancora una volta a non dimenticare di pregare per lui.

Fonte: Sir
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