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Papa a San Crispino. Don Cacciamani (parroco): “L’avrei invitato, ma mi ha preceduto”

Don Luciano Cacciamani è parroco a San Crispino da Viterbo da due anni e mezzo. "Vivacità, prossimità, familiarità", le tre parole-chiave con cui descrive la sua comunità, che domani accoglierà papa Francesco. "Mi ha preceduto", rivela a proposito del suo desiderio d’invitarlo. 

Foto SIR/Marco Calvarese

“L’avrei sicuramente invitato, era mio desiderio invitarlo, ma essendo qui da due anni e mezzo avrei aspettato un po’ per prepararmi meglio…Invece il Papa mi ha preceduto”. Don Luciano Cacciamani, parroco di San Crispino da Viterbo, descrive così l’emozione per l’arrivo – domani – di Francesco nella comunità parrocchiale che si trova al Labaro, quartiere della periferia Nord di Roma, 7mila abitanti, tra cui molte famiglie giovani e una ricca presenza di immigrati. “Quando la visita del Santo Padre è stata annunciata a fine Messa, c’è stato un applauso fragoroso dei fedeli, presi alla sprovvista ma subito pronti ad accoglierlo”, prosegue don Luciano: “Molti lo aspettavano”. Nella chiesa parrocchiale, dove si sta lavorando per riuscire a ospitare 500 persone, domina la luce che penetra dal soffitto fatto di raggi di cemento: nonostante il fermento per gli ultimi preparativi, l’atmosfera è semplice e serena.

“Non vogliamo fare delle parate – spiega il parroco – ma mostrare ciò che siamo in questo modo genuino, far vedere la nostra vivacità”.

Una vivacità che sa di allegria, come quella per cui è celebre il santo di cui la parrocchia porta il nome. “San Crispino – rivela don Luciano – è un santo che mi piace molto: quando ho letto di lui mi ha molto ricordato san Filippo Neri”. “In parrocchia non ci dovrebbero essere musi lunghi: quando ho sentito il Papa pronunciare questa frase, l’ho sottoscritta in pieno. Certo, i problemi ci sono, ma c’è anche la gioia, la serenità, la vivacità che va vissuta con semplicità, come si fa nelle famiglie, in cui si ride, si scherza… Credo che sia il volto più forte della comunità cristiana: avere quello sguardo particolare di chi non si ferma solo alla difficoltà, ma sa anche ridimensionare i problemi, che ci sono ma sono superabili”.

La prima parola che il parroco sceglie per fotografare la parrocchia che domani presenterà al Papa è prossimità: “C’è grande desiderio di portare a tutti una parola buona, di arrivare a far sentire a tutto il quartiere la voce dei grandi valori: l’aiuto al prossimo, il sostegno alle persone in difficoltà, ai malati”. La seconda parola è famiglia: “La prima cosa che ho detto ai miei parrocchiani, appena arrivato, è stata: ‘Mi avete accolto come in famiglia, vi ringrazio’”.

A San Crispino, prima di celebrare la Messa che concluderà la sua visita, il Papa incontrerà i bambini, i ragazzi, gli adolescenti, alcune giovani famiglie con figli piccoli. Poi sarà la volta di una trentina di senza fissa dimora, assistiti dalla Caritas e dalla Comunità di Sant’Egidio, con una famiglia rom e italiana che si trovano in difficoltà. Nella stanza a fianco, il Papa si fermerà con alcuni malati e disabili.

“Sono persone che si rivolgono a noi con grande dignità”, spiega don Luciano a proposito dei senza fissa dimora, molti dei quali dormono sotto i ponti tra il Labaro e Prima Porta: “È giusto avere uno sguardo molto attento, collaborare con le istituzioni per fornire le risposte insieme”. Il pranzo con i senza fissa dimora e con i disabili e gli ammalati è una vera e propria consuetudine a San Crispino, non solo in occasione dell’omonima festa parrocchiale, che cade a maggio. Tanto che Rita Cutini, della Comunità di Sant’Egidio, sceglie proprio questa immagine, anch’essa dal sapore squisitamente familiare, per descrivere la realtà della comunità. Non a caso, appena si è saputo che sarebbe arrivato il Papa, il primo gesto dei parrocchiani, insieme al parroco, è stato quello di festeggiare condividendo con loro un momento conviviale.

“Questa zona, Galline Bianche, è quella dove sono morti tanti giovani per overdose. Tante persone che vengono a messa hanno perso figli a causa della droga”.

Raffaele D’Angelo, diacono dal 2013, comincia da qui a narrare la sua esperienza a San Crispino. All’inizio degli anni Novanta è stata costruita la chiesa, e tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila, grazie all’afflusso di famiglie giovani, la situazione è iniziata a migliorare: “Hanno costruito tante palazzine, molte anche abitate dai militari e dalle forze dell’ordine, e oggi il quartiere è sicuramente più sano e sicuro, anche se rimangono problematiche sociali di povertà. Assistiamo 60 famiglie italiane 50 straniere, attraverso la distribuzione, una volta al mese, di pacchi viveri, vestiario, giocattoli per bambini”. Raffaele, insieme a sua moglie, segue la preparazione delle giovani famiglie al battesimo, e grazie a questo servizio e agli incontri nelle case riesce a raggiungere “famiglie che altrimenti non sarebbe possibile raggiungere, perché non frequentano più la parrocchia”. Il loro problema più grande, racconta, è la solitudine: “Questo somiglia ad un quartiere dormitorio, le persone escono la mattina presto e tornano la sera. Si chiudono in casa con i bambini piccoli e finisce tutto”.

E di “solitudine” e “isolamento” come prime emergenze per il quartiere, in cui opera dal 1979, parla anche Rita: “In alcuni angoli sono tornate le baracche”.

Il Papa incontrerà anche un gruppo di famiglie che hanno battezzato i loro piccoli nell’ultimo anno: una coppia li ha sposati lui, il 14 settembre 2014, insieme con altre coppie in Vaticano. “Ci ha sposato il Papa, ma questo non ci ha preservato dalla solitudine”, hanno rivelato a Raffaele. “La cosa bella è che sono famiglie che non si adeguano, non si rassegnano a una vita piatta, vogliono essere felici”, commenta il diacono: “Spero che la visita di Francesco sia una carica di gioia, di speranza, di consolazione per tutte le coppie giovani che ne hanno bisogno. C’è la povertà, ci sono gli ammalati, ma anche molte coppie giovani vivono la povertà, relazionale e spirituale. Bisogna pensare anche a loro”. “Mi auguro che questa visita del Papa, che per noi è un grande segno, sia anche un incoraggiamento a continuare ancora di più e ancora meglio”, conclude don Luciano: “Non qualcosa che si esaurisce in un pomeriggio, ma una forza, l’inizio di un rinnovamento che mi auguro durerà nel tempo”.

Fonte: Sir
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