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Viaggio apostolico

Papa in Kazakhstan. L'invito ai vescovi: “Spazio ai laici”

Bergoglio: “Nessuno è straniero nella Chiesa"

(Foto Vatican Media/SIR)

“Una Chiesa fatta di tanti volti, storie e tradizioni diverse, tutte unite dall’unica fede in Cristo Gesù. Perché provenite da luoghi e Paesi differenti, ma la bellezza della Chiesa è questa: siamo un’unica famiglia, nella quale nessuno è straniero”. È il ritratto della comunità cattolica in Kazakhstan, tracciato dal Papa nell’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, i seminaristi e gli operatori pastorali, presso la cattedrale Madre di Dio del Perpetuo Soccorso di Nur-Sultan.

“Nessuno è straniero nella Chiesa, siamo un solo popolo santo di Dio arricchito da tanti popoli!”, ha ripetuto Francesco. “E la forza del nostro popolo sacerdotale e santo sta proprio nel fare della diversità una ricchezza attraverso la condivisione di ciò che siamo e di ciò che abbiamo: la nostra piccolezza si moltiplica se la condividiamo”.

“Il mistero di Dio - dice san Paolo - è stato rivelato a tutti i popoli”, ha sottolineato il Papa. “Non solo al popolo eletto o a una élite di persone religiose, ma a tutti”. Due le parole attorno a cui si è articolato il discorso del Papa, mutuate proprio da san Paolo: “eredità e promessa”. “Da una parte, una Chiesa eredita sempre una storia, è sempre figlia di un primo annuncio del Vangelo, di un evento che la precede, di altri apostoli ed evangelizzatori che l’hanno stabilita sulla parola viva di Gesù”, ha spiegato Francesco. “Dall’altra parte, essa è anche la comunità di coloro che hanno visto compiersi in Gesù la promessa di Dio e, da figli della risurrezione, vivono nella speranza del compimento futuro. Sì, siamo destinatari della gloria promessa, che anima di attesa il nostro cammino”.

“Le comunità cristiane, in particolare il seminario, siano scuole di sincerità: non ambienti rigidi e formali, ma palestre di verità, di apertura e di condivisione”. È l’appello del Papa che, nella parte finale del discorso, ha sottolineato come “nelle nostre comunità siamo tutti discepoli del Signore: tutti discepoli, tutti essenziali, tutti di pari dignità”.

Va dato spazio ai laici”, l’invito: “Vi farà bene, perché le comunità non si irrigidiscano e non si clericalizzino”. “Una Chiesa sinodale, in cammino verso il futuro dello Spirito, è una Chiesa partecipativa e corresponsabile”, ha spiegato Francesco: “È una Chiesa capace di uscire incontro al mondo perché allenata nella comunione”.

“L’apertura, la gioia e la condivisione sono i segni della Chiesa delle origini: e sono anche i segni della Chiesa del futuro”, l’identikit del Papa. “Sogniamo e, con la grazia di Dio, edifichiamo una Chiesa più abitata dalla letizia del Risorto, che respinga paure e lamentele, che non si lasci irrigidire da dogmatismi e moralismi”. Come hanno fatto i “grandi testimoni della fede di questo Paese”, ha detto Francesco citando in particolare il beato Bukowiński, “un sacerdote che spese l’esistenza per curare gli ammalati, i bisognosi e gli emarginati, pagando sulla propria pelle la fedeltà al Vangelo con la prigione e i lavori forzati”. “Mi hanno detto che, ancora prima della beatificazione, sulla sua tomba c’erano sempre fiori freschi e una candela accesa. È la conferma che il popolo di Dio sa riconoscere dove c’è la santità, dove c’è un pastore innamorato del Vangelo”.

“Questa è la nostra missione”, le parole rivolte in modo speciale ai vescovi e ai sacerdoti: “non essere amministratori del sacro o gendarmi preoccupati di far rispettare le norme religiose, ma pastori vicini alla gente, icone vive del cuore compassionevole di Cristo”.

Fonte: Sir
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