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Papa in Slovacchia: “Chiesa non è selettiva, dialoga anche con chi non crede”

Il Pontefice oggi ha parlato ai vescovi, nella cattedrale di Bratislava: "L’omelia non deve andare oltre i dieci minuti"

(Foto Vatican Media/SIR)

“Una Chiesa che forma alla libertà interiore e responsabile, che sa essere creativa immergendosi nella storia e nella cultura, è anche una Chiesa che sa dialogare con il mondo, con chi confessa Cristo senza essere dei nostri, con chi vive la fatica di una ricerca religiosa, anche con chi non crede. Non è selettiva, di un gruppetto: il dialogo è con tutti, credenti e non credenti”.

Ne è convinto il Papa, che nel suo discorso ai vescovi, dalla cattedrale di San Martino, Bratislava, ha auspicato “una Chiesa che, sull’esempio di Cirillo e Metodio, unisce e tiene insieme l’Oriente e l’Occidente, tradizioni e sensibilità diverse. Una comunità che, annunciando il Vangelo dell’amore, fa germogliare la comunione, l’amicizia e il dialogo tra i credenti, tra le diverse confessioni cristiane e tra i popoli”.

“L’unità, la comunione e il dialogo sono sempre fragili, specialmente quando alle spalle c’è una storia di dolore che ha lasciato delle cicatrici”, il riferimento alla storia slovacca. “Il ricordo delle ferite può far scivolare nel risentimento, nella sfiducia, perfino nel disprezzo, invogliando a innalzare steccati davanti a chi è diverso da noi. Le ferite, però, possono essere varchi, aperture che, imitando le piaghe del Signore, fanno passare la misericordia di Dio, la sua grazia che cambia la vita e ci trasforma in operatori di pace e di riconciliazione”.

Poi la citazione di “un bel proverbio” slovacco: “A chi ti tira un sasso, tu dona un pane”. “È molto evangelico questo!”, il commento di Francesco: “È l’invito di Gesù a spezzare il circolo vizioso e distruttivo della violenza, porgendo l’altra guancia a chi ci percuote, per vincere il male con il bene”.

Il Papa ha concluso il suo discordo menzionando un particolare della storia del cardinale Korec: “Era un cardinale gesuita, perseguitato dal regime, imprigionato, costretto a lavorare duramente finché si ammalò. Quando venne a Roma per il Giubileo del 2000, andò nelle catacombe e accese un lumino per i suoi persecutori, invocando per loro misericordia. Questo è Vangelo! Cresce nella vita e nella storia attraverso l’amore umile e paziente”.

Nel discorso rivolto ai vescovi il Papa ha dedicato un’ampia parte a braccio al tema della predicazione. “Qualcuno mi ha detto che nell’Evangelii gaudium mi sono fermato tropo sull’omelia, che è uno dei doveri dei nostri tempi”, ha raccontato. “L’omelia non è un sacramento, ma un sacramentale: non è una predica, è un’altra cosa”.

“Pensiamo ai fedeli che devono sentire omelie di 50 minuti su argomenti che non capiscono, che non li toccano”, l’invito. “Lo dico a sacerdoti e vescovi: pensate bene a come preparare l’omelia, perché ci sia un contatto con la gente, e che prenda ispirazione da un testo biblico. Non deve andare oltre i 10 minuti, perché la gente dopo 8 minuti perde l’attenzione. Un professore di omiletica diceva che un’omelia deve avere una coerenza interna: un’idea, un’immagine e un affetto”.

“Che la gente sene vada con un’idea, con un’immagine e con qualcosa che si è mosso nel cuore”, l’esortazione del Papa: “Così predicava Gesù, con le cose concrete ma che la gente capiva”. Le parole del Santo Padre sono state salutate da un caloroso applauso dei presenti. E il Papa ha scherzato, sempre a braccio: “Permettetemi una malignità: l’applauso lo hanno cominciato le suore, che sono le vittime delle nostre omelie”.

Fonte: Sir
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