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l'addio a monsignor garavaglia

Al funerale del vescovo Lino, l'omelia di monsignor Regattieri: "Un uomo libero, animato dalla carità"

Dal testamento spirituale: “Ho potuto fare ciò che ho fatto per la grazia di Dio. Devo ogni mia esperienza alla mia vocazione cappuccina che mi ha fatto capace dell’abbandono alla volontà del Padre. Ancora una volta sale dal mio cuore la preghiera della lode e dell’attesa. Della speranza che mi conduce a Lui, principio e fine di ogni cosa"

Foto Pier Giorgio Marini

Tanta gente questa mattina, in piazza della Libertà, a Cesena, per il funerale del vescovo Lino deceduto venerdì scorso. Ha presieduto la liturgia funebre il vescovo Douglas. Con lui hanno concelebrato il vescovo cesenate emerito di Makeni (Sierra Leone), monsignor Giorgio Biguzzi, il vescovo emerito di Faenza-Modigliana, monsignor Claudio Stagni e l'arcivescovo di Ravenna-Cervia, monsignor Lorenzo Ghizzoni. Per la Diocesi di Forlì-Bertinoro era presente sull'altare come concelebrante il vicario generale monsignor Pietro Fabbri. Tutti gli altri presuli dell'Emilia-Romagna hanno inviato messaggi di cordoglio, a cominciare dall'arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale regionale, il cardinale Matteo Zuppi. Poi ancora parole di cordoglio sono giunte dal vescovo di Tivoli, monsignor Mauro Parmeggiani e dal provinciale dei Cappuccini della provincia lombarda, fra Sergio Pesenti. Tra gli oltre 400 fedeli sotto il grande tendone allestito per l'occasione, oltre ai sacerdoti e ai diaconi della nostra Diocesi, i familiari giunti da Mesero (Milano) e i sindaci del territorio con i loro gonfaloni: Enzo Lattuca (Cesena), Gianluca Suzzi (vicesindaco di Sarsina), Matteo Gozzoli (Cesenatico), Fabio Molari (Montiano), Monica Rossi (Mercato Saraceno), Enrico Salvi (Verghereto), Serena Bravaccini (assessore di Gatteo), Marika Simonetti (assessore di Longiano).

In avvio di celebrazione monsignor Regattieri ha ringraziato tutti i presenti e per i numerosi messaggi ricevuti, tra i quali quello del Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, con la partecipazione e la benedizione apostolica di papa Francesco.

Di seguito pubblichiamo il testo dell'omelia pronunciata dal vescovo Douglas, mettendo in evidenza una frase citata tratta dal libro pubblicato nel 2013 "Tracce di un cammino". "Al termine - ha scritto il vescovo Lino - resta solo l'amore. L'amore è sempre oltre. La carità è la virtù che rende evangelica ogni altra virtù". E poi ancora, al termine, un'altra frase sempre di monsignor Garavaglia: "Da giovane pensavo di essere io ad andare verso il Signore. Oggi, verso il tramonto, sento che è il Signore che viene verso di me".

Ecco il testo dell'omelia.

Radicati nella carità

Confesso di aver letto tutto d’un fiato Tracce di un cammino, la pubblicazione che monsignor Garavaglia aveva consegnato alle stampe nel 2013 con l’intento di raccontare “la gratuità di Dio donata a uno qualunque”, come scrive lui nella presentazione; “Appunti, tracce, note: capire, agire, conoscere la vita in Cristo” (Dalla presentazione). Ho scelto come prima lettura di questa liturgia funebre un brano della lettera agli Efesini (cfr Ef 3, 14-21) perché in questa pubblicazione scrive monsignor Lino: “La Lettera agli Efesini è stata per me una grande scuola di vita cristiana: Gesù Cristo, il Vangelo, la misericordia, il perdono, la speranza, un flusso di versetti che occupano il cuore: ‘radicati e fondati nella carità’” (Tracce di un cammino, p. 147). E l’espressione paolina “radicati nella carità” era diventato il suo motto, ben evidenziato nel cartiglio del suo stemma. “Un vescovo - è sempre lui che scrive - per essere veramente tale deve essere radicato nella Chiesa che gli è stata affidata, piccola o grande che sia, bella o meno bella, deve essere servo, senza usurparla. La diocesi viene prima del vescovo, il vescovo è mandato a servire la diocesi” (Tracce di un cammino, p. 148). “Radicati nella carità”: Certamente la carità è la chiave di lettura che ci permette di entrare, capire e apprezzare la personalità e la spiritualità, forte e semplice al tempo stesso - cioè francescana - di monsignor Lino. “Al termine - come ha scritto Lui - resta solo l’amore. L’amore è sempre oltre. La carità è la virtù che rende evangelica ogni altra virtù” (Tracce di un cammino, p. 87). E da questa prospettiva alta nella quale ci pone la carità, sintesi di tutto il Vangelo, vogliamo ripercorre la sua vita.

L’uomo francescano

Incontrando monsignor Garavaglia si aveva nettamente l’impressione di essere davanti a un uomo libero, che diceva anche quello che, forse, sarebbe stato opportuno tacere… ma lo diceva con spontaneità e con verità e ciò creava immediatamente simpatia, faceva sgorgare il sorriso. Un uomo libero, senza peli sulla lingua, come si suol dire, ma certo, mantenendo sempre la carità. Un uomo semplice e distaccato dalle cose, come un vero francescano. La sua umanità si era impregnata in modo indissolubile di francescanesimo ed era con esso diventata un tutt’uno. Non si poteva pensare all’uomo Garavaglia se non identificando con il francescano Garavaglia. Scriveva: “Quella francescana è una spiritualità forte… È la spiritualità dei semplici, dei poveri, degli ultimi. È morire nudo sulla terra nuda della Porziuncola. È coraggio, vicinanza a tutti, sequela a Cristo… Si manifesta in due particolari forme: la dispersione e il pellegrinaggio: la dispersione è essere dentro la società per rendersi testimone: esemplarità di coscienza retta e carità operosa. Testimoni di speranza e di fraternità, con rispetto… Pellegrinaggio: essere pellegrini non significa essere ‘erranti’… Pellegrino è l’uomo del desiderio cercato con nostalgia… È dinamismo salutare, è crescita perché solo Cristo è la meta” (Tracce di un cammino, pp. 69-72, passim).                                  

 

Comprendiamo perciò perché Egli abbia voluto essere composto nella bara rivestito del suo saio francescano: certo, non senza le insegne episcopali da cui non poteva staccarsi: lo zucchetto, la croce pettorale, l’anello episcopale. Del resto lo diceva Lui stesso apertamente e lo ha anche scritto: “Da vescovo sono rimasto religioso. Il mio Ordine era il luogo in cui era ‘iniziato’ il mio cammino spirituale, il luogo della mia formazione, dove avevo fatto l’esperienza fondamentale della mia vita. Nella famiglia cappuccina mi sono sempre sentito ed ero veramente ‘a casa’” (Tracce di un cammino, p. 118).

Ma è tempo che ora noi spostiamo il nostro sguardo dall’uomo Garavaglia al ministro del Signore e della Chiesa, al sacerdote, cioè, e vescovo Garavaglia. E seguendo il Vangelo, anche a commento del brano che abbiamo ascoltato (cfr Lc 5, 1-11), si presentano alla nostra considerazione due modelli di ministri del Signore che entrambi il nostro vescovo ha incarnato e vissuto con passione: il pescatore e il pastore.

Ma prima - brevemente - riascoltiamo i sentimenti che lo invasero quando fu chiamato all’episcopato: “Negli ultimi giorni del gennaio 1986 una telefonata dalla Congregazione dei Vescovi invita a recarmi in Congregazione per un incontro con l’arcivescovo monsignor Luca Moreira Neves… L’arcivescovo mi accoglie molto cortesemente e mi comunica che il Santo Padre ha deciso di nominarmi vescovo. Sono rimasto scioccato. Nulla mi poteva capitare di più imprevisto… Io pensavo a una informativa su un mio confratello. Invece un temporale per me. Non mi si concedeva possibilità di scelta e si richiamava il mio voto di obbedienza”. (Tracce di un cammino, pp. 97.104). 

Il pescatore

Il pescatore, dunque. Cioè, il missionario. Una volta subìto il fascino di Francesco d’Assisi diventare missionario è stato un tutt’uno. Frequentò corsi di missiologia a Lovanio. In qualità di Ministro provinciale della Lombardia visitò le missioni francescane in Eritrea e del nord-est del Brasile. “La missione – ha scritto – è andare senza casa a testimoniare il Vangelo nella carità, nella solidarietà, nel lavoro, nel dialogo, nel farsi indigeni per una Chiesa autoctona” (Tracce di un cammino, p. 86). Da vescovo continua con ancora maggior impegno la missione concentrando le forze su due eventi che hanno qualificato il suo ministero episcopale: nel 1995 indice e realizza la missione popolare, al termine di un triennio dedicato all’evangelizzazione. E nel biennio 1999-2000 ha luogo la Visita pastorale, al termine della quale indirizza alla diocesi una Lettera pastorale “Ripartire da Emmaus”, celebrando anche un congresso eucaristico. Lì il vescovo francescano ha potuto esprimere al meglio la sua ansia missionaria: incontrare tutti, parlare a tutti e tutti condurre al Signore. Quelle parole di Gesù a Pietro: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca” (Lc 5, 4) sono risuonate spesso agli orecchi e al cuore di monsignor Garavaglia e sempre, dalla sua bocca, è sgorgata la ferma e convinta intenzione - come fu per Pietro -: “Sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5, 5).

Il pastore

Non solo pescatore, ma anche pastore, cioè colui che è chiamato a guidare il gregge, a tenerlo unito, a nutrirlo, a condurlo ai pascoli della vita eterna (cfr Sal 23, 2). Prima a Tivoli, come vescovo coadiutore e poi come vescovo titolare della Diocesi; successivamente nostro vescovo diocesano, succedendo a monsignor Luigi Amaducci, chiamato a reggere la Chiesa metropolitana di Ravenna-Cervia. Qui rimase 13 anni. Poi come emerito fino a oggi, per altri 16 anni. Ricordo un evento solo – forse quello che più d’altri – qualifica la ‘pastoralità’ di monsignor Lino: la celebrazione del Sinodo, il primo Sinodo della Diocesi di Cesena-Sarsina, indetto il 18 novembre 1995 e conclusosi l’8 dicembre 1998. Nella lettera alla Diocesi a presentazione degli Atti del Sinodo, il vescovo tratteggiava in poche righe il lavoro compiuto e indicava le prospettive future: “Nella nostra Chiesa il Sinodo è stata un’esperienza inedita per tutti. Forse anche un po’ temuta. Ora è per tanti un fatto che ha lasciato segni indimenticabili di ‘cammino insieme’ nella Chiesa del Signore, per rinnovare, pregare e riscoprire la missione. È stato un evento di grazia, che ha oltrepassato la nostra progettualità, mostrandoci l’imprevedibilità sorprendente dello Spirito e la risposta corale del popolo di Dio. È stato un evento che portava il sigillo inconfondibile della Pentecoste: persone di diverse sensibilità e provenienze, di fronte alla propria fede in Cristo e all’appartenenza alla Chiesa, hanno gustato con viva gioia che la comunione è dono di Dio. È stato un momento forte in cui abbiamo imparato a dire ‘noi’ anziché ‘io’, senza sentirci né sconfitti, né in conflitto, ma nell’apertura allo Spirito, partecipi di una stessa comunione e di una più forte responsabilità verso il Vangelo” (dalla Presentazione del Primo Sinodo della Chiesa di Cesena-Sarsina, 1999, p. 7-8).

Nel momento in cui si appresta a salutare la cattedra di san Mauro e san Vicinio, come segno e attestazione di una presenza significativa anche nel contesto sociale e civile, monsignor Garavaglia riceve dalle Amministrazioni comunali di Cesena e di Sarsina la cittadinanza onoraria.

Mariano

Infine, un ultimo tratto caratteristico del pastore cappuccino: la sua devozione mariana. È il vescovo stesso che la descrive, gettando uno sguardo agli anni della sua intensa vita pastorale: “Per me la devozione alla Madonna si è radicata al santuario del mio paese: la Madonna di san Bernardo, un’Addolorata che tiene sulle ginocchia Cristo morto. Nella festa dell’Immacolata dell’8 dicembre 1954 celebrai la mia prima Messa a Mesero. Era presente il medico del paese, la dottoressa Gianna Beretta ora santa Gianna. (…) La Madonna del baobab in una nicchia scavata nel tronco di un grosso albero a Keren (Eritrea). La chiesetta della Madonna di Tembien (Etiopia), il santuario della Madonna di Quintiliolo a Tivoli. (…) La Madonna del Popolo nella Cattedrale di Cesena. La Madonna del Monte che veglia sulla città” (Tracce di un cammino, p. 132). Sono queste le diverse icone mariane che hanno arricchito la sua spiritualità, accompagnato i passi nel ministero, sostenuto il carico delle sue responsabilità.

Congedo

Monsignor Lino si congeda da noi col suo stile, francescano, semplice e sintetico, con queste parole che conserveremo nel nostro ricordo come suo testamento spirituale: “Ho potuto fare ciò che ho fatto per la grazia di Dio. Devo ogni mia esperienza alla mia vocazione cappuccina che mi ha fatto capace dell’abbandono alla volontà del Padre. Ancora una volta sale dal mio cuore la preghiera della lode e dell’attesa. Della speranza che mi conduce a Lui, principio e fine di ogni cosa.

Signore, illumina la lunga strada che mi hai assegnato. Comandami di venire a te.

Signore, nell’ora dell’addio a questa terra, o meglio nell’ora del rivederci, voglio ancora testimoniare ciò che più volte ho fatto nella mia vita: Gesù il Signore, il Vangelo, la Chiesa, il mio Ordine, la verità, la bontà benigna e paziente, operosa e orante. (…) Ho creduto di esservi fratello e padre. Nell’ora in cui vedrò Dio, vi affiderò a Lui, unico Padre, alla Vergine Maria, che è Madre di Cristo e Madre di tutti noi. (…) Da giovane pensavo di essere io ad andare verso il Signore. Oggi, verso il tramonto, sento che è il Signore che viene verso di me.

‘Altissimo onnipotente bon Signore, tue sono le lodi, la gloria e l’onore e ogni benedizione. A te altissimo si confanno’” (Tracce di un cammino, pp. 152-153).

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Foto Pier Giorgio Marini

A margine della liturgia funebre, la Diocesi prende l'occasione per esprimere un ringraziamento particolare all'Amministrazione comunale che ha concesso piazza della Libertà e all'impresa di pompe funebri Magnani per la profesisonalità dimostrata. Un grazie anche per chi ha allestito palco e tendone e a quanti hanno contribuito, in maniere diverse, a rendere omaggio al vescovo Lino nel migliore modo possibile, con le preghiere e con il servizio.

Qui di seguito la fotogallery della cerimona. Fotografie di Pier Giorgio Marini

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Al funerale del vescovo Lino, l'omelia di monsignor Regattieri: "Un uomo libero, animato dalla carità"
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