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durante le messa di ordinazione e di avvio di avvento

Due nuovi diaconi per la nostra Chiesa locale. L'omelia del vescovo Douglas

"Non posso dimenticare che oggi ricorre l’anniversario della mia ordinazione episcopale", ha aggiunto monsignor Regattieri

Nella foto l'ingresso del vescovo Douglas all'inizio della celebrazione eucaristica di questo pomeriggio

Cesarino ed Enrico diaconi

Cesarino, tu sarai il 47° dei diaconi permanenti attualmente presenti nella nostra Chiesa. Sei sono già saliti in Cielo. Non mi interessa il numero, che – così alto – esprime comunque la vitalità della nostra Chiesa, indiscutibile e difficilmente contestabile; mi interessa piuttosto la qualità. O il diacono infatti nella sua chiesa locale è fedele, generoso, umile, gioioso, servizievole, capace di tessere belle relazioni, collaboratore, accogliente o non sarà diacono degno di questo nome. Ho fatto un lungo elenco di aggettivi; ci sono anche quelli indicati da san Paolo nella prima lettera a Timoteo: “I diaconi siano persone degne e sincere nel parlare, moderati nell'uso del vino e non avidi di guadagni disonesti, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura” (1Tm 3, 8-9). Anche papa Francesco ha indicato ai diaconi di Roma recentemente incontrati, tre caratteristiche che contraddistinguono il servizio diaconale: primo, abbassarsi: “Nella Chiesa – ha detto - deve vigere la logica opposta, la logica dell’abbassamento. Tutti siamo chiamati ad abbassarci, perché Gesù si è abbassato, si è fatto servo di tutti” (19 giugno 2021). Secondo, essere “disponibili dentro, di cuore, pronti al sì, docili, senza far ruotare la vita attorno alla propria agenda; e aperti fuori, con lo sguardo rivolto a tutti, soprattutto a chi è rimasto fuori, a chi si sente escluso” (l.c.). Terzo, umili. “È triste – continuava il papa - vedere un vescovo e un prete che si pavoneggiano, ma lo è ancora di più vedere un diacono che vuole mettersi al centro del mondo, o al centro della liturgia, o al centro della Chiesa. Umili” (l.c.).

Tu, Enrico, sarai il 48° diacono della nostra Chiesa. Ma non pensare che la transitorietà del ministero che ora ricevi indebolisca il dono prezioso e ti autorizzi a viverlo con una certa superficialità. Resterai sempre diacono anche una volta presbitero. La stola che da presbitero indosserai attorno al collo sarà sempre la stessa stola diaconale che fra poco attraverserà tutto il tuo corpo, ti fascerà e ti legherà indissolubilmente e per sempre a Dio e ai fratelli. Sempre sarai diacono nella Chiesa. Anche per te, perciò, valgono gli stessi aggettivi che ho detto sopra. Ma poiché non posso commentarli tutti per ovvie ragioni mi fermo su tre di essi indicati dalle tre letture bibliche che abbiamo ascoltato.

Fedele, generoso, vigile

Il diacono è chiamato, anzitutto, ad essere fedele. Sull’esempio stesso di Dio che - come ci ha ricordato il profeta Geremia (33, 14-16) - non viene meno alle promesse: Verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d'Israele e alla casa di Giuda” (Ger 33, 14). Così con il suo popolo, con Abramo e con tutti i patriarchi; lo sarà con ciascuno di voi, lo è con la sua Chiesa, che si è acquistata mediante il sangue prezioso del suo Figlio (Cfr Ef 5, 25).

Il diacono deve, poi, abbondare nell’amare: anzi sovrabbondare. È la parola dell’Apostolo, nella prima lettera ai Tessalonicesi: Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell'amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi” (1Ts 3, 12). L’eccedenza dell’amore che ha in Dio il suo prototipo diventa un modo di essere del discepolo, del diacono.  La misura dell’amore? Amare senza misura (san Bernardo).

E infine, secondo la pagina evangelica (Cfr Lc 21, 25-28.34-36), il diacono deve essere sempre attento e vigile. Di quella vigilanza che si nutre di attenzione. Perciò, mai distratto, ma disattento, ma sempre vigile: a Dio, al fratello, alla realtà. Significa avere lo sguardo rivolto, lo sguardo aperto a Qualcuno. Come Gesù lo ebbe per il giovane ricco: “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò” (Mc 10, 21); per Pietro: “Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro” (Lc 22, 61).

Donami, Signore, un cuore sensibile, pronto, libero, magnanimo, gentile e pio

 

Non posso dimenticare che oggi ricorre l’anniversario della mia ordinazione episcopale. Anche per me valgono questi stessi aggettivi: fedele, attento e vigile. Pregate, perciò anche per me, voi che fra poco sarete diaconi della nostra santa Chiesa, Cesare e Enrico, e voi fratelli e sorelle carissimi che condividete con me – a titoli diversi – l’esaltante avventura dell’annuncio del Vangelo. Come vorrei diventassero realtà anche in me gli appunti – vero programma di vita episcopale - stilati da Paolo VI all’indomani della elezione pontificale il 21 giungo 1963, a Castel Gandoflo. Prima di queste note c’è, nel suoi appunti, una citazione di René Bazin, scrittore, romanziere francese della fine del XIX secolo (1853–1932), autore tra l’altro di una interessante biografia l’ormai imminente santo Charles de Foucauld; Bazin scrisse queste brevi note a proposito del capo: “Ciò che fa capo una persona - scrisse - è il cuore che non trema, l’occhio limpido, il comando breve, sempre la preoccupazione degli altri e la dimenticanza di sé”. Quanto vorrei viverle anch’io queste caratteristiche.

Ma Paolo VI aggiunse a questo sue personalissime considerazioni, in quella specie di diario, annotato a pochi giorni dalla elezione al sommo pontificato. Ecco le sue righe: “La lucerna sopra il candelabro arde e si consuma da sola. Ma ha una funzione, quella di illuminare gli altri; tutti, se può. Posizione unica e solitaria; funzione pubblica e comunitaria. Nessun ufficio è pari al mio impegno nella comunione con gli altri. Gli altri: questo mistero, verso il quale io devo continuamente dirigermi, superando quello della mia individualità, della mia apparente incomunicabilità: gli altri, che sono miei e di Cristo. Gli altri che sono Cristo. Gli altri che sono il mondo. Gli altri, al cui servizio io sono. Ecco ognuno è mio prossimo. Quanta bontà è necessaria! Ogni incontro dovrebbe provocare una manifestazione. Simpatia per tutti, amore al mondo. Preghiera e amore universali. Iniziativa sempre vigilante al bene altrui, (...) Quale cuore è necessario. Cuore sensibile, ad ogni bisogno; cuore pronto, ad ogni possibilità di bene; cuore libero, per voluta povertà; cuore magnanimo, per ogni perdono possibile, per ogni impresa ragionevole; cuore gentile, per ogni finezza; cuore pio, per ogni nutrimento dall’alto” (Paolo VI, Un uomo come voi, Marietti, pp. 105-106).

Carissimi Cesarino ed Enrico, e io con voi: superato il timore di confrontarci con l’altezza spirituale di chi ha scritto queste note, mi verrebbe da porre una domanda: non potrebbero diventare, queste parole, anche per noi un programma di vita?  

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