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un prete che ha lasciato il segno

Ieri sera la Messa per don Lino Mancini, a 20 anni dalla morte

Pubblichiamo il testo dell'omelia del vescovo Douglas 

Foto di Pier Giorgio Marini

Pubblichiamo l'omelia che il vescovo Douglas ha pronunciato ieri sera durante la Messa per i 20 anni dalla morte di don Lino Mancini, un sacerdote che ha lasciato un segno in tanti. 

 La bellezza dell’amore coniugale

“E i due saranno un'unica carne” (Gen 2, 24). Il 2 settembre 1988, don Lino, commentando questo stesso testo della Genesi, disse: “Per il Signore l’amore tra l’uomo e la donna, non è una cosa piccola; non è una cosa ordinaria; non è un’avventura; non è una cosa insignificante; non è una cosa provvisoria. L’ha inventato Lui l’amore tra un uomo e una donna. Quindi lo sa Lui cos’è. Conosce la debolezza, ma conosce anche l’amore: il valore, lo spessore, la ricchezza e avendo questo idea dell’amore, addita all’uomo e alla donna questo amore. (…) Alla domanda: ‘Non hai il senso della proporzioni, allora, Signore. Perché lo affidi a noi un amore così?’. Il Signore risponde: ‘ Io ho inventato il Sacramento del Matrimonio proprio per rispondere a questa domanda. Il Sacramento significa che non siete soli; che io vivo con voi continuamente dandovi, se volete, la forza di superare anche i momenti difficili, molto difficili’” (L. Mancini, Omelie III Tempo Ordinario, p. 298).

Il brano evangelico di quella domenica 2 settembre 1988 era ovviamente lo stesso che abbiamo ascoltato stasera (Cfr Mc 10, 2-16). Al dialogo di Gesù con alcuni farisei sul matrimonio e  sul divorzio, segue l’episodio della presentazione a Gesù di alcuni bambini, tra le rimostranze dei discepoli. Ma Gesù rimprovera quest’ultimi e dice: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio” (Mc 10, 14). Cosa c’entrano i bambini con il discorso di Gesù sul matrimonio e sul divorzio. Don Lino dà questa risposta. I figli sono l’amore dell’uomo e della donna. “Se marito e moglie dicessero: ‘Come si chiama il nostro amore?’. Dovrebbero dire il nome dei figli. ‘Come si chiama la nostra vita messa insieme, vissuta insieme?’ I nostri figli. Anche se loro si separano e provano a riformarsi un’altra famiglia, rimane eternamente vero che quel figlio o quella figlia sono il loro amore unito; non come una condanna; non come un peso: come una cosa grande, misteriosa” (l.c.). Concludeva l’omelia: “È attraverso quel figlio o quella figlia, che il Signore continua a raccontarvi che vi vuol bene” (l.c).  Ecco perché il discorso sul matrimonio si intreccia con questi gesti e queste parole di Gesù sui bambini.

   Con occhi da bambini

Ma voglio dare anch’io una spiegazione a questo intreccio apparentemente incongruo, delle due realtà: da una parte l’amore degli sposi e dall’altra i bambini. Ho letto da qualche parte questa frase: “Vivere è guardare il tramonto con gli occhi di un bambino, cercando ogni volta un colore nuovo”. Se gli sposi guardassero, considerassero, vedessero il loro amore come un bambino guarda e vede il mondo, forse certe crisi si supererebbero più facilmente; perché scoprirebbero sempre cose nuove, colori sempre diversi, sfumature impensate. Guardare al proprio amore come un bambino guarda il mondo, la realtà, con il desiderio di scoprire cose sempre nuove, con la trasparenza e la spontaneità di aprirsi al nuovo; non con l’intento di carpire, di accalappiare, di conquistare, di fare proprio l’altro. C’è un modo di guardare da adulti sbagliato la cui caratteristica è quella di voler soggiogare a sé, pretendere per sé, condizionare a sé,  e un modo di guadare da bambini, che è libero, aperto, Ecco perché Gesù abbina l’attenzione ai piccoli, accarezzandoli, prendendoli in braccio, ai discorsi da adulti sul matrimonio; c’è un nesso, un legame, una correlazione. I gesti: mettere il bambino al centro, accarezzarlo, imporgli la mano, benedirlo parlano di per sé; sono un messaggio: ecco – sembra dire Gesù, con questi gesti e forse a tante coppie anche oggi – il vostro amore guardatelo con la trasparenza, la semplicità, la spontaneità degli occhi di un bambino, di questo bambino, del vostro bambino.

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