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Il vescovo Douglas alla Messa del patrono: "Ogni bimbo che nasce ci ricorda che Dio non si è stancato dell'uomo"

“Nella Bibbia la vita nascente è segno di un dono, una gioia grande e una responsabilità che si inscrivono in una famiglia e aprono un futuro", ha aggiunto il presule

Foto Pier Giorgio Marini.

Di seguito pubblichiamo l'omelia che il vescovo monsignor Douglas Regattieri sta annunciando in questo momento in Cattedrale, a Cesena, per la festa del patrono della città, san Giovanni Battista, cui è dedicata la basilica e di cui oggi la Chiesa fa memoria della nascita. 

Tra i fedeli (foto qui sotto di Pier Giorgio Marini) il sindaco di Cesena, Enzo Lattuca, il vicesindaco Christian Castorri, Luca Mecchia in rappresentanza del prefetto, il comandante della compagnia dei Carabinieri di Cesena, Sabato Simonetti, il comandante della Compagnia della Guardia di finanza, Alberto Liberati, il direttore del Caps della Polizia di Stato, Bruno Di Rienzo, gli assessori al Comune di Cesena, Carlo Verona e Camillo Acerbi, il comandante della Polizia Municipale, Andrea Piselli. 

san giovanni.fedeli.foto pg marini.24.6.2022

Di seguito il testo dell'omelia pronunciata dal vescovo Douglas durante la Messa che è stata trasmessa in diretta sul canale 14 di Teleromagna. 

Un bambino che nasce

“Si chiamerà Giovanni” (Lc 1, 60), afferma perentoria l’anziana Elisabetta, davanti allo stupore dei vicini e dei parenti e contrariamente a ogni regola tradizionale. Giovanni è il suo nome! La nascita di un bambino è lo sbocciare della vita non solo per quella famiglia, ma per il mondo intero. “Ogni bimbo che nasce ci ricorda che Dio non si è stancato dell’uomo”, aveva detto un giorno santa Teresa di Calcutta. Invece “la nostra epoca e la nostra cultura mostrano una preoccupante tendenza a considerare la nascita di un figlio come una semplice questione di produzione e di riproduzione biologica dell’essere umano” (Francesco, Udienza generale 8 giugno 2022).

Il profeta Isaia nella prima lettura (Cfr Is 49, 1-6) ci rimanda, con un racconto autobiografico, ai primi istanti della sua esistenza: quando ancora era nel grembo materno. Fin da quel momento egli si è sentito chiamare a una esistenza grande e bella, impegnativa e intensa: ad essere, cioè, profeta di Dio. E lo sarà: Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra" (v.6). “Nella Bibbia la vita nascente è segno di un dono, una gioia grande e una responsabilità che si inscrivono in una famiglia e aprono un futuro. I neonati sono immagine del mistero della vita che si trasmette attraverso l’amore di un uomo e di una donna, sono immagine della cura di Dio, nei confronti dei genitori. Lungo tutta la Scrittura la nascita dei bambini è un elemento portante dell’opera di Dio e delle famiglie umane” (D. Regattieri, Dal Messaggio per san Giovanni 2022).

Al testo di Isaia ha fatto eco il salmo 138. Anch’esso considerato un inno alla vita. È il salmista in questo caso che parla di sé: anch’egli ha sentito la mano di Dio fin dal primo istante della sua esistenza, cioè dal concepimento: “Tu, Signore, mi ha hai tessuto nel grembo di mia madre, ricamato nelle profondità della terra” (Cfr Sal 138, 13.15).

Mi chiedo se la madre di Isaia e quella del salmista avessero abortito non avremmo avuto un profeta di tale statura; non avremmo avuto il meraviglioso canto del salmista! Il mondo sarebbe stato più povero! Chissà di quanti e quali personaggi il mondo sarebbe stato privato!

 

Due anziani ormai al tramonto

Il vangelo pure ci parla di una nascita; stavolta è Giovanni il protagonista. Bisognerebbe riascoltare il canto che esplode dalla bocca e dal cuore del papà di questo bambino, il sacerdote Zaccaria, per toccare con mano come la vita fosse percepita a quel tempo come un dono di Dio. Sempre. Eppure questa vita nasce in un contesto precario: da due genitori anziani. Come avrebbero potuto garantire un futuro dignitoso a questo bambino? Come lo avrebbero educato, loro anziani, ormai al tramonto? Come sarebbero stati in grado di inserirlo nella società loro che stavano ormai congedandosi dal mondo. Tutte motivazioni che, oggi, sarebbero sufficienti – purtroppo – per approdare alla malsana e insana scelta di sopprimere questa vita, di non permetterle di venire alla luce per risparmiarle – come si dice – un’esistenza infelice in un  mondo difficile.

Invece: ecco due anziani, ormai al tramonto della vita, che si imbarcano in un’avventura nuova: un nuovo cammino, una nuova prospettiva; un rimettersi in gioco. Altro che scarto, gli anziani! Qui l’anziano continua a guidare la storia, a essere protagonista, ad avere un ruolo, qui egli ha da dire qualcosa di vero e di buono a un mondo che sembra destinato a morire, a intristire. Le rughe di questi due anziani si confrontano senza timore e senza vergogna con la pelle liscia e fresca del loro bambino che portano tra le loro stanche braccia. Ha detto in questo giorni il papa: “Le rughe sono un simbolo di esperienza, sono un simbolo di maturità, di aver fatto in cammino … Quello che interessa è la personalità, è il cuore, che rimane con quella bontà del vino buono, che tanto più invecchia, tanto più buono è”. Egli ha così messo sotto accusa il “mito” dominante della nostra epoca e della nostra cultura: quello dell’eterna giovinezza, dell’”ossessione – disperata – di una carne incorruttibile”.  La vecchiaia, - ha continuato il papa - oggi viene disprezzata proprio “perché porta l’evidenza inconfutabile del congedo di questo mito, che vorrebbe farci ritornare nel grembo della madre, per ritornare sempre giovani nel corpo … La tecnica si lascia attrarre da questo mito in tutti i modi: in attesa di sconfiggere la morte, possiamo tenere in vita il corpo con la medicina e la cosmesi, che rallentano, nascondono, rimuovono la vecchiaia” (Francesco, Udienza generale, mercoledì 8 giugno 2022).

Un bambino che nasce da una parte; due anziani che si congedano da questa terra, dall'altra: insieme, un intreccio salutare per la vita di questo mondo che se si chiude alla vita è destinato a intristire.

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