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Il vescovo Douglas nell'omelia per San Giovanni: "In questo tempo abbiamo imparato ad ascoltare, a guardarci negli occhi e ad alzare lo sguardo"

Tanta gente in Cattedrale, come da tradizione. Numerose anche le autorità civili e militari. La Messa solenne è in diretta su Teleromagna

Nella foto, la processione introitale di questa mattina, per la solennità di San Giovanni Battista, patrono di Cesena e della Cattedrale

Di seguito pubblichiamo ampi stralci dell'omelia che il vescovo Douglas ha appena pronunciato in Cattedrale per la solennità di San Giovanni Battista, patrono della città di Cesena.

In chiesa tanta gente, e molte autorità civili e militari, come da tradizione. La Messa è trasmessa in diretta su Teleromagna.

Partendo dalla figura del santo, monsignor Regattieri ha cercato di attualizzare il messaggio del Battista e di rapportarlo alla situazione post Covid.

Ecco le sue parole.

Mi permetto, ora, fratelli carissimi, di trasferire lo schema che abbiamo riscontrato nei testi biblici, ai nostri giorni. E parafrasando quella degli abitanti di Hain Karim, il villaggio di Zaccaria e di Elisabetta, pongo la domanda: Che sarà mai questo tempo? Per la risposta riprendo lo schema evangelico. Sono stati questi quasi due anni della nostra vita un tempo di morte, di dubbi e di paure. Per qualcuno, di depressione e di angoscia. Pensando ad Elisabetta e a Zaccaria, è stato un tempo di sterilità e di silenzio. Ma su queste due ombre ecco la luce. Penso di poter dire, con il consenso di molti, che è stato un tempo nel quale abbiamo imparato tanto di bello e di buono. Un insegnamento che individuo in tre direzioni:

Abbiamo imparato ad ascoltare. In quei giorni nel silenzio provocato dal forzato stop del traffico cittadino, del frenetico vociare delle piazze, abbiamo udito il cinguettio degli uccelli, il fruscio del vento, lo scrosciare della pioggia sui tetti… Abbiamo udito anche il suono lacerante e penetrante delle sirene delle autoambulanze costringendoci a pensare ai fratelli ammalati e morenti.

Abbiamo imparato a guardarci negli occhi, a distanza. Impossibilitati a toccarci e ad abbracciarci ci ha soccorso questo provvidenziale mezzo di comunicazione: lo sguardo. E con lo sguardo la comunicazione di sentimenti, forse anche di paure e di angosce, che – condivise – sono apparse più leggere e sopportabili.

Abbiamo imparato ad alzare lo sguardo, in alto. Ci siamo accorti che eravamo fin troppo proiettati sulla terra, a guardare le nostre opere, le opere delle nostre mani, incupiti dai nostri fallimenti, attaccati alle cose come se queste potessero sprigionare in noi libertà, gioia e benessere interiore. In realtà, alzare lo sguardo al Cielo ha ridato respiro al desiderio innato di Dio, dell’Assoluto, dell’Eterno.  E così ci sono parse alquanto vere le parole del salmo: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi affaticano i costruttori” (Cfr Sal 127, 1).  E’ stato spontaneo alzare lo sguardo al Cielo e chiedere aiuto. Ci siamo scoperti impotenti, deboli e piccoli.

E così ora – col salmo 138 – come fecero Zaccaria ed Elisabetta e tutti gli abitanti della regione montuosa della Giudea -  esplode anche dal nostro cuore e dalle nostre labbra, la gioia: Ti rendiamo grazie, Signore, perché hai fatto di noi una meraviglia stupenda. Ti preghiamo: abbia questo tempo i contorni di un’alba luminosa, preludio a un  meriggio assolato e fecondo.

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