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solenne celebrazione eucaristica

La festa di san Giovanni Battista. Il vescovo nell'omelia: "Da Giovanni un appello alla conversione valido anche per noi oggi"

Per la prima volta la Messa è stata celebrata all'aperto, viste le norme anti-Covid in vigore, sotto il tendone allestito in piazza della Libertà

La Messa di questa sera in piazza della Libertà. Foto Pier Giorgio Marini

Tanti fedeli (oltre 500), come di consueto il 24 giugno, per la solenne celebrazione eucaristica per la festa del patrono della città, san Giovanni Battista.

Per la prima volta la Messa è stata celebrata all'aperto, viste le norme anti-Covid in vigore, sotto il tendone allestito per il funerale del vescovo emerito, monsignor Lino Garavaglia, in piazza della Libertà e rimasto montato anche per oggi. (cfr pezzo a lato)

Numerose anche le autorità civili e militari, a cominciare dal sindaco Enzo Lattuca.

Di seguito pubblichiamo il testo dell'omelia che il vescovo, monsignor Douglas Regattieri, ha pronunciato subito dopo la lettura del vangelo. Tra i concelebranti anche il vescovo emerito di Makeni (sierra Leone), il cesenate Giorgio Biguzzi.

Ecco il testo:

Alle tre conversioni che ìndico nel messaggio scritto per san Giovanni, pubblicato in allegato al Corriere Cesenate della settimana scorsa e che verrà distribuito alla fine di questa santa Messa, aggiungo altre riflessioni sempre sulla conversione, a partire dai tre testi biblici che ci sono stati proclamati. Perché è questo il tema che unisce la Parola di Dio e il tempo eccezionale che stiamo vivendo: la pandemia da Coronavirus. 

1. “Un battesimo di conversione”

Il secondo testo biblico che abbiamo ascoltato (Cfr At 13, 22-26), tratto dagli Atti degli Apostoli, parla di conversione, parla di un “battesimo di conversione” (v. 24), predicato e amministrato da Giovanni. Un appello alla conversione valido anche per noi oggi. Tutti siamo chiamati alla conversione, sempre. Oggi, in modo particolare. Quante volte abbiamo detto o ci siamo sentiti dire in questa pandemia: dobbiamo cambiare… non possiamo più continuare così… La pandemia ci obbliga e ci costringe a una conversione. Un sociologo ed economista in questi giorni scriveva di questa conversione a cui siamo sottoposti sulla stampa nazionale. Tale cambiamento sembra indurci a dirigere i nostri passi verso una triplice direzione: Primo: con la pandemia “l’idea nazionalista appare meno plausibile, perché non esistono confini capaci di sigillare, separandoci dal resto del mondo” (M. Magatti in Corriere della sera, 18 giugno 2020, p.32). Abbiamo capito davvero che siamo tutti responsabili gli uni degli altri. Il mio comportamento virtuoso o meno virtuoso, avvantaggia o ricade negativamente sugli altri. Secondo: la sostenibilità e la resilienza sono due caratteristiche che premono per un cambiamento del modello di sviluppo sociale. Sviluppo economico, sociale, umano e ambientale, cioè, vanno necessariamente insieme. Terzo: il virus ha rafforzato “il sentimento di solidarietà che negli ultimi decenni si era quasi completamente smarrito” (cit.). Davvero il nostro è un tempo di cambiamento, di conversione. 

2. Siamo nelle mani di Dio!

Il versante più religioso della conversione è sottolineato dal profeta. Esso trova la sua giustificazione teologica nel messaggio che ci dà il profeta Isaia nella prima lettura (Cfr Is 49, 1-6): torniamo a Dio perché siamo nelle sue mani. Veniamo da Lui e a Lui ritorniamo. “Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome” (Is 49, 1).  Egli ci avvolge: dal primo istante della nostra vita, dal grembo materno fino all’ultimo respiro. Gli fa eco il meraviglioso salmo 139 che abbiamo cantato dopo la prima lettura: “Signore, tu mi scruti e mi conosci … Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia madre. Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda” (vv. 1-13-14). Avvolti dalla certezza del suo amore possiamo temere? Questo è un tempo di paura; lo è stato nei mesi di lockdown, e continua ad esserlo. Due pagine del grande Girolamo ci guidano. Dice l’esegeta rifugiatosi e vissuto in una grotta a Betlemme a cavallo tra il IV e V secolo: “Chi teme ancora è fermo all’inizio, non ha una fede perfetta e piena; chi invece ama Dio, per lui tutto ha buon esito. Sembra una frase breve e semplice; ma esaminiamola e in queste semplici parole troveremo misteri straordinari. Scopriremo all’interno ciò che all’esterno era nascosto. Del resto per coloro che amano Dio tutto concorre al bene. (…)  Giobbe nel momento in cui perdeva tutti i suoi beni, gli venivano meno i suoi figli, certo ciò che gli accadeva gli sembrava una sventura; ma poiché amava il Signore, quei mali che gli inferisce concorrono al suo bene. (…) Vengano le piaghe, tutti i tipi di punizione, purché dopo le piaghe Cristo venga accanto” (Girolamo, Commento al salmo 66, p. 133-134). E ancora il santo Padre della Chiesa: “Non diciamo: Se mi capitasse questo o quello, di che cosa posso vivere? Ti rispondo: Se ci fosse una persecuzione, cosa ben più grave di che cosa puoi vivere? Per il cristiano c’è sempre la persecuzione, sempre gli è posta innanzi la nudità. Nessuno dunque deve disporre di questa vita, nessuno abbia timore, nessuno deve dire: Se invecchierò, di che cosa posso vivere? Se mi ammalerò, di che cosa vivo? Hai Cristo e hai timore? Se nutre gli uccelli del cielo, dubiti che possa nutrire te? Il diavolo nutre i suoi uomini e Cristo non nutrirà i suoi servi? Il diavolo rende giudici di questo mondo e ricchi e Cristo non può fare in modo che tu non vada mendicando? Il diavolo dà oro e gemme e Cristo non può dare pane?” (cit. p. 454-455). 

3. Avvolti dalla Misericordia divina

Il Dio verso cui si volge il nostro sguardo – questa è la fede – ha un volto: è misericordia. Prendo lo spunto dalla pagine evangelica (Cfr Lc 1, 57-66.80). Al centro c’è la questione del nome. Che nome dare a questo bambino? Ci sono varie proposte, ci sono diverse scuole; quella tradizionale: si deve chiamare come suo padre. “No, dice Elisabetta – e lei sapeva perché diceva così – , si chiamerà Giovanni” (v, 60). Arriva poi la conferma da Zaccaria che scrive su una tavoletta questo stesso nome. Il nome è importante, dare il nome è come affidare alla persona una missione: Giovanni significa: Dio è misericordia… Chi è questo bambino che è nato in modo così prodigioso? È Giovanni: Giovanni deriva dall'antico nome ebraico Yochanan; è composto da Yehōe da chān che significa "ebbe misericordia", o "ebbe grazia" o "fu misericordioso". Il significato è dunque “ Dio è misericordioso”.  Insomma tutta questa vicenda si concentra sull’intenzione dell’evangelista di annunciare che in questo bambino si svela la misericordia di Dio.

La misericordia: chiave della nostra vita. E questa è un’altra conversione a cui siamo chiamati. L’abbiamo ascoltato anche l’anno scorso. Ma le cose sono cambiate. C’è stata e c’è ancora la pandemia, che ha sconvolto le nostre vite. Vorrà pur dire qualcosa il fatto che questo appello avvenga dentro a questa situazione drammatica che ci avvolge! Significa che Il tempo della pandemia può essere anche un tempo di misericordia, come direbbe san Paolo: un kairos (1 Cor 4). Non mi si fraintenda: non che la pandemia l’abbia mandata il Signore, ma nella pandemia il Signore ci ha voluto parlare. Egli parla sempre: da ogni luogo, in ogni situazione: nella tempesta e nel cielo sereno; nell’acqua che scorre dolce e tranquilla e nell’onda minacciosa (cfr Mt   ); nel fuoco (Es 3 ) e nel vento sottile (1 Re    ). la storia è fatta dagli uomini, con le sue  meraviglie, ma anche con le sue storture e cadute. In queste, sia in versione positiva che negativa, il Signore sempre parla. Ipocriti! Sapete valutare l'aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?”(Lc 12, 56).  E la sua è sempre una parola misericordiosa, mai di condanna, ma di giudizio. “Non sono venuto per giudicare il mondo ma per salvarlo!” (   ). Alessandro Manzoni aveva sintetizzato questo pensiero con l’espressione messa in bocca a Lucia nel momento dell’abbandono della sua terra e dei sui monti: “Dio non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande” (I Promessi sposi, cap. VIII).

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