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Celebrazione promossa dall'Ufficio diocesano per la pastorale sanitaria

"Un bimbo che soffre è come un’ostia consacrata davanti alla quale inginocchiarsi"

Don Santo Merlini, cappellano al policlinico "Sant'Orsola" di Bologna oggi pomeriggio ha portato la sua testimonianza nella chiesa di San Domenico, a Cesena, durante la celebrazione della 30esima Giornata mondiale del malato. "Dio non ha eliminato la sofferenza. L’ha condivisa"

chiesa di San Domenico, celebrazione Giornata del malato (foto Sa.L.)

“… E fai grandi cose per chi ha rifugio in Te… Come un fiore nato fra le pietre va a cercare il cielo su di lui, così la tua grazia, il tuo Spirito per noi, nasce per vedere il mondo che Tu vuoi”. Il canto “Come è grande” ha accompagnato il rito della Comunione nella celebrazione di oggi pomeriggio nella chiesa parrocchiale di San Domenico, a Cesena, presieduta dal vescovo Douglas in occasione della 30esima Giornata mondiale del malato.

La celebrazione, promossa dall’Ufficio per la pastorale della salute, Unitalsi e Centro volontari della sofferenza - e tramessa in diretta sulla pagina Facebook e sul canale Youtube del Corriere Cesenate -  è stata anticipata dalla testimonianza di don Santo Merlini, sacerdote della fraternità di San Carlo, dal 2013 cappellano al policlinico Sant’Orsola di Bologna.

Don Santo Merlini, cappellano del policlinico Sant’Orsola di Bologna

Don Santo Merlini, cappellano del policlinico Sant’Orsola di Bologna

“Siate misericordiosi come Gesù” è il tema della giornata mondiale istituita da papa Giovanni Paolo II. E sulla misericordia don Santo ha aperto la propria testimonianza sul servizio in ospedale, a Bologna.

“La misericordia non è un semplice atto di tenerezza – la prima riflessione di don Santo -. Chi in vari modi ha a che fare con il mondo della sofferenza e della malattia sa benissimo che la buona intenzione di accompagnare con l’affetto a volte non regge davanti a situazioni drammatiche. Che lasciano senza parole”.

E dunque, cosa vuol dire essere strumenti di misericordia? “Lo siamo nel momento in cui riconosciamo noi stessi oggetto di misericordia da parte di Dio – prosegue don Santo -. Con il battesimo siamo portatori della luce del Risorto. Nei giorni scorsi a Imola abbiamo celebrato il funerale di una ragazza che seguivo nel reparto di oncologia. È andata in cielo dopo una lunga malattia. Il vescovo di Imola monsignor Giovanni Mosciatti a inizio omelia ha detto una parola che ha dato tono a tutta la celebrazione: il battesimo ci dà forza nel momento difficile della morte. È il battesimo che ci fa sperimentare già adesso la vita eterna”.

Don Santo torna alla stretta attualità, riportando all’esperienza della pandemia: “In questo momento storico, troppe volte sentiamo parlare di numeri: malati, morti, contagiati…. Numeri che ci infondono paura se non angoscia. E troppo poco noi preti parliamo della vita eterna, che è l’unica realtà che nel buio della malattia e della morte dà speranza vera. Come battezzati e come testimoni, portiamo già adesso la luce del Risorto. Questa è la vera speranza che ci deve illuminare. E attraverso noi, illumina l'animo del malato".

messa giornata malato_foto sabri

Molto del suo servizio come cappellano in ospedale don Santo lo svolge nei reparti pediatrici e accanto a pazienti giovani, che con la malattia spesso vedono sfumare progetti di vita. “Soprattutto loro e i loro familiari percepiscono un Dio ingiusto e cattivo – continua don Santo -. Provare a dare risposta, può essere un atteggiamento presuntuoso, insolente. Le parole inopportune feriscono”.

Quale l’approccio di un sacerdote in corsia? “Entro in camera, saluto – spiega il don -. La presenza già di per sé porta curiosità e gratitudine. Sono contenti di vedere un prete in corsia. Altre volte c’è il rifiuto. Benedico i malati”. E sulla preziosità e forza della comunione: “A volte i malati la desiderano quotidianamente: l’Eucaristia è Gesù stesso, e per le persone di fede è un grande dono poterla ricevere nei giorni di ricovero. Permette di non affondare nel baratro dell’assenza di significato”.

Numerosi sono i pazienti che durante la malattia desiderano la confessione. “La malattia a volte è una grazia che ci porta alla conversione – ha sottolineato don Santo - a riconoscere il nostro vero bisogno. Per qualcuno, la malattia diventa un momento di grazia nel quale riconciliarsi con Dio. E per me sacerdote, poter dare l’assoluzione è un momento bellissimo”. Don Santo torna all’emozione di quando nel 2016 impartì l’assoluzione al babbo morente. ‘A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi. A chi non lo rimetterete, saranno non rimessi', ci ha detto Gesù. Noi sacerdoti in corsia abbiamo imparato che se la persona non è cosciente, nelle ultime ore, dobbiamo essere certi che questa persona avesse desiderato i sacramenti. A volte – specifica don Santo - preferisco peccare in eccesso di misericordia, piuttosto che in eccesso di rigore. La misericordia di Dio passa concretamente attraverso i sacramenti”.

Soprattutto in questi ultimi anni di pandemia, don Santo ha potuto assistere alle ultime ore di vita di pazienti. “Mi colpisce ogni volta quando i familiari che non sono potuti stare accanto al proprio caro nel momento del passaggio, poi mi contattano chiedendomi i testi delle preghiere che ho recitato accanto al letto della persona morente. Il Salmo 23 è tra quelli che scelgo di più: la parola di Dio è capace di illuminare gli ultimi respiri”.

Nella difficoltà del servizio in corsia, accanto a persone e familiari che vivono la malattia del corpo, don Santo trova la forza della comunione vissuta con un gruppo di medici e infermieri. E studenti, anche. “Sono amici con cui condivido il desiderio della testimonianza – prosegue don Santo –. Aiutandoci a vicenda a non perdere di vista il compito cui siamo chiamati”. È nato così quello che poi è stato chiamato ‘Protocollo Giacomo’, che prevede la possibilità per bimbi appena nati, la cui vita in terra è destinata a essere di poche ore. “Il protocollo prevede che in certe situazioni il sacerdote entri in sala parto. E che il bambino possa trascorrere le poche ore di vita in camera, accanto alla mamma”. “Con questi amici condividiamo tutto – riporta don Santo - soprattutto l’attenzione per le persone che incontriamo. Si crea così una rete preziosa, personale sanitario e sacerdote”.

Spero che questa giornata sia uno stimolo a capire più noi stessi – conclude il sacerdote della Diocesi di Bologna -. La realtà della malattia è misteriosa, ci rimanda al mistero di Dio. Ogni malato che soffre è associato alla sua opera. Questo è lo sguardo con cui guardo ogni malato. E a loro dico: Offri. Non c’è parola più potente. Ogni bambino che soffre vive la sofferenza di Gesù. È come un’ostia consacrata davanti alla quale bisogna inginocchiarsi”.

Don Santo riporta di quella volta che venne chiamato dai genitori di Nicolas, ricoverato in oncologia pediatrica, in rianimazione. “Lì, davanti a Nicolas attaccato ai macchinari, i suoi genitori mi chiesero: ‘Ora, Dio dov’è?’. Una risposta con le parole non si trova. E anziché dire parole inopportune, ho taciuto: l’unica risposta che si può dare è il silenzio, con i genitori. Dio non ha eliminato la sofferenza. L’ha condivisa. La tenerezza e l’affetto che solo possiamo offrire in quei momenti è la stessa che noi cristiani abbiamo ricevuto nel battesimo. E che ci rende portatori di significato lì dove il significato non si vede”.

messa giornata malato_celebrazione
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