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A proposito del restauro delle Scalette, l'intervento di Daniele Vaienti: "Un luogo da salvare e conservare per quello che è"

"Parlare di demolizione e di restauro conservativo - scrive Vaienti - mi pare una contraddizione in termini. Speriamo di avere imparato dalle esperienze passate"

A proposito del restauro delle Scalette, l'intervento di Daniele Vaienti: "Un luogo da salvare e conservare per quello che è"

Caro Francesco,

dopo la lettera di ieri, vengo al secondo argomento, quello delle Scalette al quale il giornale dedica molto spazio a pagina 5 questa settimana e anche online.

Come premessa necessaria richiamo un rapporto personale con questo percorso: ho avuto la fortuna di andare ad abitare a un cinquantina di metri dalle Scalette, appena sotto la Celletta con la ceramica di Malmerendi e le antiche colonne malatestiane, nell’ormai lontano 1955, quando la mia famiglia lasciò la vecchia Casa Bufalini e con una dozzina di altre giovani coppie di impiegati comunali, realizzò il progetto di una Cooperativa. Era, allora, un atto da ‘coraggiosi’: strade strettissime ‘bianche’, a fondo cieco su campi coltivati, in cima a una salita mozzafiato (la Via Vittorino da Feltre). Mancanza di illuminazione (arriverà solo dopo diversi anni) così come di strade asfaltate si parlerà un decennio dopo, se non più tardi. Abitazioni spartane, nate addirittura senza impianto di riscaldamento, ma una vista fantastica e la salita delle Scalette a pochi passi. Fu, come si può immaginare, il terreno dei nostri giochi, delle prime scoperte di nuovi percorsi, dell’arrampicata fino alla Basilica del Monte. La vigilia del 15 agosto facevamo, addirittura, una focarina straordinaria, oltre a quella tradizionale di san Giuseppe. Al Monte si andava abbastanza di rado, accompagnando ogni tanto le mamme che andavano alle prime Messe e che tenevano viva la devozione mariana. Il percorso era quasi tutto ombroso anche nel tratto dalla celletta alla Basilica: non come adesso, dopo una deforestazione che, se ha liberato la vista panoramica, ha tolto il refrigerio durante la salita e anche un po' dell’intimità che dava la vegetazione a “volta”.

I più coraggiosi si buttavano giù con slittini costruiti artigianalmente o con lastre di masonite nel prato che dava verso la attuale Via Boito che allora non esisteva. Una volta, verso la fine degli anni ’50, ci fu anche una gara di ciclo-cross di cui si parlò a lungo. Ma il vero tratto pieno di fascino era quello che partiva dalla fine delle scalinate e scendeva giù, ripido e stretto, verso l’attuale via San Benedetto. Grandi roveti nel primo tratto, con more che erano i nostri trofei da mangiare finché ne volevamo e poi un vero e proprio tunnel verde, con le croci di cotto, gli scoli per l’acqua piovana realizzati pure con antichi e stretti mattoni, il fondo a schiena d’asino e, nell’ultimo tratto, i solchi evidentissimi dei tank che dalle Scalette scesero per la Liberazione di Cesena. Quei solchi sono ancora visibili e andrebbero salvaguardati come perenne ricordo di quegli avvenimenti e dei tremendi bombardamenti che sconvolsero l’area del Monte. Quei tank sostarono poi davanti al Teatro Bonci e anche lì si può vedere un tratto della vecchia pavimentazione ridotta in frantumi e lasciata fortunatamente come ricordo e monito. Rammento che Nello scrisse varie volte ai giornali perché almeno quel tratto fosse salvato e non “rimesso a nuovo”.

Sono tornato alla vecchia casa dei genitori da un paio d’anni e ho ripreso le brevi passeggiate lungo le Scalette: molto spesso le ho percorse in questi mesi di forzato isolamento, magari in compagnia e con il ‘lasciapassare’ del cane da portare un po' in giro. Vedo che alcuni interventi possono e devono essere fatti: una più frequente pulizia, la rimessa in sede di diversi ciotoli di fiume o di pietre scalzate, la pulizia dei canaletti laterali e, soprattutto, un intervento di VERO RESTAURO CONSERVATIVO sulla CELLETTA, sia sulle parti murarie che sull’opera di Malmerendi. L’attuale cancellata in ferro non è quella degli anni della mia infanzia: per preservare dall’ingresso dei vandali l’inferriata è stata, in pratica, raddoppiata e nasconde alla vista l’immagine dell’angelo. Le colonne malatestiane hanno bisogno di un intervento di restauro in alcuni particolari e va controllata l’umidità e migliorata l’illuminazione.

Nonostante il passare degli anni e dei secoli lo ‘spirito’ di quel percorso, l’atmosfera che vi si respira, i pensieri che suggerisce, sono ancora gli stessi: una mirabile fusione di spiritualità e ambiente, un raccoglimento quasi ‘miracoloso’ a poche decine di metri dal caos del traffico.

La principale ‘difesa’ delle Scalette sta forse proprio nel suo brusco ed erto salire: una metafora, forse, del percorso che portava i fedeli e i penitenti verso il Santuario della Madonna così cara ai cesenati da molti secoli. Un segnale, questo tratto iniziale un po' impegnativo, per il nostro spirito spesso distratto e superficiale, un ingresso repentino nel silenzio, quasi fuori del tempo. Tutto ciò va assolutamente conservato e salvato (compresi i ricordati segni dei tank) lasciando il più possibile le cose come stanno, in un equilibrio che i secoli ci hanno trasmesso e che non dobbiamo dilapidare.

Quando dunque leggo, nel progetto che accompagna il ”crowfunding online” che si intende procedere:

  • alla DEMOLIZIONE della pavimentazione tra Via San Benedetto e Via Boito (proprio il tratto che più ha mantenuto la sua atmosfera irripetibile)
  • alla posa di NUOVO SOTTOFONDO in materiale misto stabilizzato cementato (che mi ricorda il ‘sarcofago’ di calcestruzzo di Piazza della Libertà)
  • la RICOSTRUZIONE con i ciottoli recuperati INTEGRATI per le parti mancanti (chi potrà mai replicare la sublime irregolarità della antica pavimentazione attuale?)

e via e via... mi vengono francamente i brividi.

Avremo una nuova e confortevole stradina come tante? avremo perso per sempre la magia di cui ancora oggi possiamo godere? e tutto questo per quale motivo?

Né mi rassicura, infine, la risposta standard che qualcuno, a nome del Comune, ha inserito nel sito del crowfunding  (www.ideaginger.it), in calce ai messaggi lasciati da chi ha fatto donazioni. Cito, testualmente:

Il restauro sarà di tipo conservativo e fedele all’atmosfera attuale di via delle Scalette. Il progetto sarà comunque vagliato dalla Sovraintendenza di Belle Arti”.

Vorrei anche vedere che la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini non fosse neppure interpellata e non esprima il suo parere.

Certo è che parlare di DEMOLIZIONE e poi di RESTAURO CONSERVATIVO mi pare una discreta contraddizione.

In uno dei commenti dei donatori ho letto la citazione dell’intervento su Casa Bufalini, richiamato come un precedente da cui guardarsi. (Ricorderai, credo, il lungo e continuo interessamento dell’Ute, prima con Nello e poi con me, specie per il restauro e recupero dell’abside della duecentesca San Francesco, trasformata ora in caffetteria).

Anche lì di restauro conservativo non si è visto molto. Bisogna fare tesoro delle esperienze precedenti... anche di quelle negative. Il riferimento a Casa Bufalini non è, in questo caso, opera mia, ma lo condivido pienamente nel merito.

Spero che l’intervento – se mai si farà - possa essere misurato, di qualità e di altissimo livello come merita questo gioiello storico e del paesaggio cesenate... e non solo.

Sull’idea di collocare la Via Crucis di Ilario Fioravanti le mie perplessità non sono certo artistiche (non ne avrei, del resto, neppure le competenze) quanto, ancora una volta, legate alla rottura dell’atmosfera, specie nel tratto iniziale così stretto che mal sopporterebbe, mi pare, l’inserimento di nuovi manufatti.

Avere letto, poi, di un possibile utilizzo di materiali come il marmo, non mi lascia tranquillo circa l’equilibrato rapporto con il contesto e con i materiali che lo compongono.

Mi rendo conto, ovviamente, di avere oltrepassato ogni limite di spazio, ma ci tenevo a motivare le mie osservazioni e a chiarire il motivo di un attaccamento particolare al percorso delle Scalette.

Un caro saluto

Daniele Vaienti

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