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"Chi canta prega due volte", a proposito di Covid e cori in chiesa

Una lettera al direttore da parte dell'avvocato Roberto Iacuzzi che risponde al professor Mario Alai

La Messa crismale durante la pandemia trasmessa sui social. Foto archivio Corriere Cesenate-Pier Giorgio Marini

Qui sotto pubblichiamo la lettera al direttore che l'avvocato Roberto Iacuzzi ha scritto in risposto a un paio di interventi del professor Mario Alai circa i possibili rischi di un incremento del contagio che sarebbero provocati dai cori nelle chiese. L'argomento è di certo opinabile, come dimostra il dibattito che su di esso si è acceso sulle nostre pagine dell'edizione cartacea e online.

Caro direttore,

ho letto con molta attenzione le due lettere – pubblicate rispettivamente sui numeri 36 e 38 del Corriere Cesenate-che il professore ed amico Mario Alai ha scritto sul tema del canto liturgico e dei rischi, a suo giudizio fortemente connessi, di diffusione del contagio da coronavirus durante le nostre celebrazioni liturgiche, in primisla Santa Messa.

Dimostrando una certa competenza sugli aspetti scientifici delle modalità di propagazione del virus (sulla quale, peraltro, non mi pronuncio non essendo il sottoscritto né un medico, né uno studioso di virologia), il professor Alai, allo scopo di evitare o comunque di ridurre al minimo durante le celebrazioni liturgiche il rischio di diffusione del contagio a causa del canto – singolo o corale –, ha proposto di sospendere temporaneamente sia l’uno che l’altro e, qualora il contagio dovesse ancora aumentare, anche le stesse celebrazioni liturgiche “in presenza”: tornando di fatto, in questa malaugurata ipotesi, alla situazione della primavera scorsa quando nelle chiese si poteva andare soltanto per la preghiera individuale e alla Santa Messa si assisteva soltanto in diretta streaming.

Non metto in dubbio che il professor Alai si sia debitamente documentato sulle modalità di diffusione del virus affidata - com’egli sostiene - anche alle particelle di aerosolche si emetterebbero durante il canto e che permarrebbero a lungo nell’aria circostante, con i rischi di contagio da lui prospettati.

Quello del professor Alai sembrerebbe, dunque, un approccio molto sensato al problema, nella linea di quella prudenzache le autorità civili, ma anche religiose, non mancano ripetutamente di richiamare.

Eppure, a pensarci bene, è una linea che, come cristiano, non mi convince più di tanto. E non perché, in questa persistente contingenza pandemica, non si debba essere ragionevolmente prudenti, ma perché – così come essa è stata espressa e poi ribadita - è una linea che sembra (e sottolineo il sembra, per non far torto all’amico e professore) non considerare a sufficienza né la singolarità del luogo in cui il rischio di contagiosi potrebbe verificare – la chiesa, dove sotto le spoglie del pane e del vino consacrati è presente in permanenza Cristo stesso – né le qualità, per così dire, del suo……..padrone di casa”.

Di queste preoccupazioni si è fatto carico, la Congregazione vaticana per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti il cui Prefetto – il cardinale Robert Sarah – nello scorso mese di settembre ha pubblicato, approvata espressamente dal Papa, una Lettera ai Presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo – la Lettera Torniamo con gioia all’eucarestia” – sulla celebrazione della liturgia durante e dopo la pandemia del covid-19. (Lettera richiamata qui a fianco, ndr)

Mi permetto, anzitutto, di invitare chi non l’avesse già fatto a leggerla con molta attenzione (sono appena tre paginette formato A/4, ma dense di un limpido ed autentico magistero cattolico, così come ogni altro scritto, del resto, del suo autorevole estensore)

Mi piacerebbe trascriverla tutta tanto è ricca di fede e di saggezza profonde, ma evidentemente non è possibile. E allora ne traggo alcune citazioni, fra le più significative.

La prima è lo stesso cardinale Sarah a trarla dalla preghiera liturgica che si recita in occasione della dedicazione di una nuova chiesa. Essa, ad un certo punto, inneggia: Qui lieta risuoni la liturgia di lode e la voce degli uomini si unisca ai cori degli angeli; qui salga a Te la preghiera incessante per la salvezza del mondo”.

E più avanti il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, con riferimento alla Santa Messa trasmessa dai mezzi di comunicazione sociale, ha fatto un’importante precisazione:

Nessuna trasmissione è equiparabile alla partecipazione personale e può sostituirla (….). Questo contatto fisico con il Signore è vitale, indispensabile, insostituibile. Una volta individuati e adottati gli accorgimenti concretamente esperibili per ridurre al minimo il contagio del virus, è necessario che tutti riprendano il loro posto nell’assemblea dei fratelli, riscoprano l’insostituibile preziosità e bellezza della celebrazione, richiamino ed attraggano con il contagio dell’entusiasmo i fratelli e le sorelle scoraggiati, impauriti, da troppo tempo assenti o distratti (….). La dovuta attenzione alle norme igieniche e di sicurezza non può portare alla sterilizzazione dei gesti e dei riti, all’induzione, anche inconsapevole, di timore e di insicurezza nei fedeli”.

E ricorda infine, a chi fosse smemorato e magari anche un po'….ignorante, che le norme liturgiche non sono materia sulla quale possono legiferare le autorità civili, ma soltanto le competenti autorità ecclesiastiche (cfr. Concilio Vaticano II°, Sacrosanctum Concilium, n° 22).

Al cardinale Sarah ha fatto eco recentemente, fra gli altri, monsignor Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia e Guastalla, che il 19 ottobre u.s., in una breve lettera indirizzata ai Sacerdoti della sua Diocesi, ha ricordato che il popolo cristiano, già provato dalla pandemia nei mesi del lockdown”, può correre il rischio di entrare in una visione paranoica della realtà, distaccata cioè dalle vere dimensioni del pericolo”.

Ed ha aggiunto:

Tutti quanti noi, assieme agli altri responsabili della vita sociale e civile, abbiamo un compito importante: aiutare la nostra gente a vivere con prudenza, ma anche con serenità, fiducia in Dio e capacità di relazioni e aiuto reciproco. Non dobbiamo assolutamente favorire il diffondersi di timori esagerati che possono portare ad una corrosione profonda della salute mentale ed emotiva. Mai come in questo momento è chiaro che le ragioni della fede sono le ragioni della vita; Dio non ci abbandona, ci prende per mano, e lo fa anche chiedendoci di soccorrere a suo nome chi è bisognoso. Non possiamo permetterci che, di giorno in giorno, l’unico criterio sia chiudersi in casa. Senza demordere da tutte le attenzioni dovute, come la mascherina, l’igiene delle mani e il distanziamento, dobbiamo continuare a vivere. Le nostre chiese, proprio in ragione di tutto il lavoro che abbiamo svolto, sono luoghi sicuri sia per la preghiera liturgica, sia per eventuali incontri”.

A queste autorevoli citazioni aggiungo, concludendo, un mio modestissimo pensiero: alla celebrazione della Santa Messa dall’inizio della pandemia è già stato tolto tanto, anzi troppo! Non accettiamo, dunque, di “sterilizzarla” ulteriormente togliendole anche il canto, singolo o corale che sia.

Ricordiamo la promessa di Dio nel Salmo 90:

Tu che abiti al riparo dell’Altissimo e dimori all’ombra dell’Onnipotente, dì al Signore: Mio rifugio e mia salvezza, mio Dio in cui confido”. Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge. Ti coprirà on le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio. La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza, non temerai i terrori della notte, né la freccia che vola di giorno, la peste che vaga nelle tenebre, lo sterminio che devasta a mezzogiorno. Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma nulla ti potrà colpire”.

E allora riprendiamo a cantare, a cantare con fede e con una voce che unisca gli uomini ai cori degli angeli, da soli ma anche, laddove esista o si costituisca, con l’aiuto prezioso di un coro affiatato e ben preparato. Perché – come insegna la tradizione della Chiesa da Sant’Agostino in poi - Chi canta, prega due volte”.

E il covid-19 non ci farà, allora, più alcuna paura!

Roberto Iacuzzi - Cesena

 

"Chi canta prega due volte", a proposito di Covid e cori in chiesa
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