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Coronavirus. I mille miracoli quotidiani nel racconto della mamma di una casa-famiglia

La testimonianza di Tania Mariani della comunità papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi. "Un giorno cercavo di organizzare una colletta per acquistare una lavatrice per una famiglia duramente provata dalla malattia e dalla disabilità e un’amica mi ordina su Amazon una lavatrice nuova da 10 chili, recapitata direttamente a casa" 

Foto Antonio Manidi

Caro direttore,

provo a raccontare come è andata la recente Quaresima e poi la Pasqua che ogni giorno mi cambiano dentro.

Senza averlo programmato, mi ritrovo a distribuire pacchi spesa, doni ricevuti e a organizzare altri tipi di servizi. Incontro famiglie attraversate da grandi dolori. L’occasione del pacco è l’opportunità di uno scambio di confidenze, lacrime e risate… Ogni volta che mi lascio prendere dalla fretta o sono distratta pensando alla consegna successiva comprendo che ho perso un’occasione, un dialogo mancato. Riparto in pulmino pensando a san Vincenzo de Paoli che ammonendo suor Giovanna le diceva “per il tuo amore, per il tuo amore soltanto i poveri ti perdoneranno il piatto di minestra che gli hai versato”.

È proprio così. Torno a casa triste, nella mia vita borghese, ricca di affetti e amicizie. Non mi sono accorta del fratello che voleva piangere sulla mia spalla per la perdita del lavoro, la malattia di un familiare, la mancanza dei figli lasciati a 10.000 km di distanza nella povertà più assoluta, nella precarietà del Coronavirus, ignoto criminale che forse non gli farà mai più riabbracciare la moglie e i figli. Tante le coincidenze che assaporo come gemme profumate di primavera, accanto a tanto dolore, accanto a vite fragili e vulnerabili soffocate da tempeste di ogni genere, sbocciano gesti di solidarietà imprevisti e inaspettati, ma puntuali come un orologio svizzero. Ad ogni richiesta di bisogno, arriva l’offerta precisa e puntuale di chi mette a disposizione, soldi, tempo da dedicare agli altri, beni di ogni genere fino a titolari di pizzerie che sfornano pizze tutte le sere gratuitamente da portare alle famiglie, come carezza di Dio; uova di Pasqua per tutti i bimbi che non lo potranno ricevere.

Raccogliamo tutto a piene mani, e a piene mani doniamo, in un circolo virtuoso meraviglioso “Una misura pigiata e traboccante sarà versata nelle vostre mani”. Luca, Cecilia, Lorena, Barbara, coraggiosi e audaci superano la titubanza e si compromettono ogni giorno insieme a me, senza misura, per non lasciare da solo nessuno.

Il primo giorno della settimana Santa, alle 13 ricevo la telefonata di una famiglia che conosco, che abita ad una ventina di chilometri da casa nostra. Dall'altra parte del telefono mi viene chiesta la spesa con molto pudore. Garantisco la massima discrezione perché comprendo la difficoltà ad ammettere di aver bisogno, in una società capitalista e individualista come quella che ci siamo costruiti: ognuno deve bastare a se stesso, gli altri non esistono. Chiudo la telefonata pensando alla distanza, e alle cose che arrivano alla spicciolata: un giorno il pane, un giorno il fresco e solitamente faccio più giri al giorno per la distribuzione. In questo caso invece mi servirebbe una spesa unica completa di tutto (anche per limitare i viaggi, rispettando le direttive ministeriali).

Alle 13,25 squilla il telefono. Una sorella di comunità mi dice che una famiglia della sua parrocchia ha fatto una spesa completa di tutto da donare ad una famiglia in difficoltà. Un brivido corre lungo la mia schiena e lacrime di commozione bagnano i miei occhi. Temo di non aver capito bene. Chiedo più volte la conferma perché sono esterrefatta… Ho i brividi anche ora mentre scrivo. Mi precipito a prendere quel mega pacco, e lo consegno, ringraziando il Cielo consapevole che se il mondo continua a vivere è grazie a questi piccoli semplici atti d’amore, nascosti nella ferialità delle nostre vite.

Altre situazioni analoghe hanno scosso la mia Quaresima, scomposta e indaffarata, costringendomi a fermare la mia corsa per ringraziare, lodare il buon Dio e la sua infinita misericordia. Cercavo di organizzare una colletta per acquistare una lavatrice per una famiglia duramente provata dalla malattia e dalla disabilità e un’amica mi ordina su Amazon una lavatrice nuova da 10 chili, recapitata direttamente a casa. Anche quel giorno ho pianto tanto di fronte alla manifestazione della Carità fraterna.

Ragazzi immigrati in attesa di documenti (questure chiuse, lavori stagionali saltati) che vivevano di elemosina di fronte ai supermercati, ora non possono più farlo, mi chiedono soldi, non per loro…no…”noi possiamo anche morire di fame”, da spedire ai figli lasciati al loro paese d’origine. “Non sono sicuro di rivederli un giorno, ti prego aiutami”. Non ho soldi da destinare, ma ricevo due telefonate nel giro di poche ore, un’amica ha raccolto 200 euro, e una persona che vuole rimanere nell’anonimato altri 100 euro, mi commuovo ancora adesso mentre lo scrivo. Alla sera mentre recito il cantico di Simeone, mi sento così, un povero servo inutile che ha visto la potenza dell’Altissimo e la salvezza di Dio per tutti i popoli. Tutti i popoli, non solo quello cristiano. Ho il privilegio di ascoltare catechesi bellissime dai miei fratelli musulmani che mi parlano di un Dio che ci chiede di volerci bene come fratelli, e che una volta giunti ad un punto drammatico senza ritorno, Lui aprirà una strada nuova per noi.

È sempre mezzogiorno quando raggiungo Y. in un posto sperduto in campagna, per portargli la spesa È nascosto (gli mancano i documenti, il lavoro) in uno sgabuzzino di una casa vecchia di campagna, solo come un cane. Quella umile dimore rimediata assomiglia più ad una cuccia per cani, che un rifugio per umani. Mentre lo fisso nei suoi occhioni grandi e ascolto le sue parole rivoluzionarie, piene di affetto per un Dio che nonostante gli abbia tolto tutto, la famiglia (in Marocco ha una moglie incinta e un figlio di 7 anni), il lavoro, i documenti, la libertà di uscire da quel nascondiglio solitario… continua a mostrargli fedeltà attraverso la mia visita e le provviste affinché non muoia di fame oltre che di solitudine, mi pare di avere lo sguardo rivolto alla Mecca e di calpestare una terra sacra. Chi sono io per ricevere tanto..? mi chiedo ogni giorno con il cuore commosso e pieno di gratitudine. Quando siamo a tavola alla sera a cena, tra i racconti e le risate della mia famiglia numerosa, il mio cuore corre in quel luogo buio e solitario in cui Y. sta passando un’altra triste nottata, senza luce, acqua e gas, senza abbracci e il calore dei suoi cari…che ingiustizia, mi dico.

La condivisione mi introduce al Mistero della Passione e Croce di Gesù. Il Venerdì Santo ho ricevuto la chiamata per ritirare del pane congelato, in un piazzale di una parrocchia. Arrivo sul posto con il pulmino, ma il pane non c’è, il piazzale è deserto. Chiedo a un passante che non sa niente, chiedo ad un altro che mi mostra sala e freezer Caritas vuoti, sarà finito…. Esce dalla porta laterale della Chiesa il parroco. Chiedo anche a lui. Mi fa cenno con il capo di entrare in chiesa. Tra me e me penso non abbia capito la mia domanda. Non possono esserci freezer in Chiesa. Mi avvicino, entro in silenzio inginocchiandomi e il don con fare gentile e pacato, sottovoce mi dice che posso prenderne quanti ne voglio. Rimango attonita. Nella penombra di una grande chiesa, disposti sulle panche, non sulla seduta ma sulla parte alta, decine e decine di scatoloni, distanziati l’un l’altro mezzo metro, in un ordine perfetto. Sembrano persone, oppure no, sembrano bare, eppure è pane, ma che PANE sarà che prende il posto delle persone o delle bare in una Chiesa vuota silenziosa che oggi non potrà celebrare la morte del corpo di Gesù?

Azzardo sottovoce, chiedo al don: "Come mai quelle scatole sistemate in quel modo? Come mai al posto delle celebrazioni del Triduo Pasquale, la celebrazione del Pane della Carità…?". Mi guarda e mi sorride, non dice niente… Comincio a caricare e mi pare di portare piccole bare come quelle dei feti durante il seppellimento che facciamo ogni mese a Cesena, il silenzio è sacro, è quasi mezzogiorno.

Dentro di me un tamburo intermittente di domande non mi da tregua, “Perché? Perché? Cosa significa tutto ciò? È arrivato il tempo dell’ammonimento che ci faceva don Oreste: la devozione senza la rivoluzione non ci porterà lontano? O è arrivato il tempo del Papa che ci esorta in una piazza san Pietro vuota e silenziosa “non abbiamo ascoltato i Tuoi richiami, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente ammalato…” o è arrivato il tempo di Alex Zanotelli “Che Pasqua Celebriamo?".

A testa bassa, con il cuore in tumulto, scossa da quell’esperienza di silenzio, l’immagine della chiesa fissata nei miei occhi, ricomincio la distribuzione.

Tania Mariani

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paolo 22/04/2020 10:17
grazie tania

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