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Coronavirus. Un lettore scrive: "Più letale del Covid-19"

La lettera al direttore da parte di Marco Giannini: "Non mi trovo d’accordo con le affermazioni di quanti dicono che gli anziani muoiono soli senza che nessuno stringa loro la mano. So per certo che questo non è vero. Nonostante la pericolosità del virus, la vicinanza a una persona che sta morendo è puntuale e amorevole"

Foto Ansa/SIR

Caro direttore, in questi giorni drammatici, in cui un invisibile nemico poco noto, chiamato Covid-19, sta mettendo in ginocchio l’intero pianeta, ci ritroviamo particolarmente attenti alle notizie che ci vengono date dai mezzi di comunicazione per scorgere almeno un barlume di speranza su un prossimo ritorno alla normalità, difficile da ipotizzare oggi.

Le cifre di questa pandemia sono terribili, segno evidente che il mondo non era preparato ad affrontare una simile catastrofe. La mia impressione personale è che spesso, anziché essere propositivi e aiutare a mettere in campo interventi che possano aiutare, si stiano spendendo molte energie alla ricerca dei colpevoli. Mi pare di poter dire che in tanti ci mettiamo alla finestra a osservare gli altri che cercano di fare qualcosa, con il solo intento di criticare le loro azioni. A volte lo facciamo senza metterci nei loro panni per capire cosa stanno vivendo.

Tra gli avvenimenti che in particolare mi fanno riflettere in questi giorni è il susseguirsi di notizie che riguardano le strutture per anziani Cra o Rsa e in particolare sulle numerose, troppe morti che continuano a decimare quanti vi risiedono.

Mi pare che siano già stati individuati i colpevoli nelle figure di quanti gestiscono queste strutture. Si riportano notizie di avvisi di garanzia, indagini dei Nas, sequestro di documenti, controlli a tappeto.

Purtroppo oggi la mia personale sensazione è che in tutte le strutture per anziani disseminate per l’Italia intera, la negligenza di chi le gestisce abbia causato la morte di migliaia di anziani. Non si fa che parlare di anziani soli e abbandonati. Gli stessi anziani soli e abbandonati di cui fino a ieri non diceva nulla nessuno o quasi nessuno. Pare che improvvisamente ci si sia ricordati di loro.

Con questo non voglio dire che non sia importante indagare, controllare, assicurarsi che si sia fatto tutto il necessario per preservare la salute dei residenti, ma so per esperienza personale diretta, che questi controlli vengono fatti regolarmente dagli organi competenti, Ausl, Nas, ispettori della sicurezza. Questi controlli sono tesi a garantire il corretto funzionamento di queste strutture in tutte le molteplici discipline che la gestione del benessere delle persone mette in campo. Voglio dire che, al di là dell’emergenza del momento, i controlli fanno parte della routine della vita di queste strutture.

Con questo non voglio dire che vada sempre tutto bene e che non si possa fare di più. Non voglio neppure negare che a volte il fattore economico costringa a scelte difficili che richiedono la riduzione di alcuni servizi importanti, ma meno essenziali di altri. Questo credo sia la conseguenza della continua riduzione delle risorse che vengono messe a disposizione di queste gestioni.

Non desidero entrare troppo nel merito dell’aspetto gestionale, per quanto importante e fondamentale. Vorrei invece puntare l’attenzione sull’aspetto umano che coinvolge delle persone in relazioni coinvolgenti tra assistente e assistito. Ritengo questo aspetto particolarmente importante perché determinante a garantire il benessere di entrambe le parti in gioco.

Come in ogni relazione ci possono essere complicità, tenerezze, conflitti e tutti questi aspetti sottolineano un’intimità che inevitabilmente si instaura in entrambe i sensi.

Mia madre vive da oltre quattro anni in una Rsa. Non è stata felice di andarci anche per un retaggio di pregiudizi noti a tutti e devo dire difficili da scardinare. Oggi dopo quattro anni lei sente quella come casa sua e ha con le persone che la assistono un rapporto spesso materno. È una persona ancora lucida benché con un’autonomia ridotta alla sola capacità di portare il cibo alla bocca. Fino a quando è stato possibile noi familiari siamo stati una presenza quotidiana, ma le nostre visite, per esigenze lavorative si sono sempre limitate a mezz’ora, un’ora nei fine settimana. Dico questo per sottolineare che il resto della giornata, mia madre, come la gran parte degli altri residenti, la trascorre in compagnia di Oss, infermieri, addetti alla pulizia degli ambienti, fisioterapisti. È con queste persone che gli anziani residenti intessono relazioni ed è su di loro che possono contare per tutte le loro necessità.

Come figlio, sento davvero il bisogno di spendere una parola di gratitudine per quanto tutto il personale fa ogni giorno per i residenti in queste strutture. Penso che le mie parole le potrebbe pronunciare qualsiasi altro familiare che come me e forse più di me vive e conosce la vita all’interno delle strutture.

Negli anni, ho avuto modo di constatare la cura con cui gli operatori si occupano di tutti gli anziani, anche e soprattutto di quelli che sono in un letto con lo sguardo fisso al soffitto e che sembrerebbero assolutamente estranei a tutto e a tutti. Ho assistito personalmente a un episodio in cui un operatore somministrava il pasto, alla pazienza e all’amorevolezza con cui lo faceva dispensando ogni tanto una carezza senza ricevere dalla persona accudita alcun segno evidente di gratitudine. Oppure alla cura e precisione con cui vengono tenuti puliti gli ambienti. Penso di poter dire con certezza che, nella stragrande maggioranza dei casi, non viene svolto un semplice lavoro, ma si tratta di una vera e propria missione.

Noi figli siamo grati a queste persone che si occupano con cura di nostra madre perché sempre, ma particolarmente in questo periodo, sono le nostre mani che accarezzano, sono i nostri occhi che vigilano, sono i nostri sorrisi che ridonano speranza e riempiono il vuoto che la nostra impossibilità di visita potrebbe far avvertire loro.

Non mi trovo d’accordo con le affermazioni di quanti dicono che gli anziani muoiono soli senza che nessuno stringa loro la mano. So per certo che questo non è vero. Nonostante la pericolosità del virus, la vicinanza a una persona che sta morendo è puntuale e amorevole.

Nessuno sta parlando dell’angoscia che si prova nel vedere morire una persona alla quale nel tempo ti sei affezionata, con la quale hai riso, con la quale qualche volta ti sei anche arrabbiata. Sì perché anche questo accade quanto l’intimità e l’amore prendono il sopravvento sul mero svolgimento di un servizio.

Un aspetto altrettanto importante riguarda il comparto dirigenziale di queste strutture. Si potrebbe pensare che l’aspetto direttivo e di coordinamento occupandosi della gestione economica ed assistenziale, prevenga da un coinvolgimento personale e attivo di relazione con l’anziano. Così non è. Al contrario ci si è rimboccati le maniche dimenticando le canoniche sei ore di lavoro o i giorni di festa per stare accanto al personale decimato, impaurito, ma determinato a continuare a svolgere la propria missione. Mamme che hanno lasciato la loro famiglia per il timore di trasmettere la malattia ai figli o al marito. Mogli costrette a dormire fuori casa per lo stesso motivo.

Tutto ciò non può tradursi in un semplice senso del dovere. Denota, invece, la profondità delle relazioni che fanno di una residenza per anziani un luogo di affetti, cura e vicinanza.

È innegabile, il buon andamento di queste case dipende in gran parte da quanti le gestiscono e che sono stati catapultati repentinamente in una situazione più grande di loro. La loro reazione è stata immediata e puntuale, ma proviamo a pensare al peso delle decisioni da prendere, al timore di non avere preso la decisione giusta, alla responsabilità di assistere inermi allo stillicidio di morti causate dal virus che è riuscito, nonostante tutti gli accorgimenti messi in campo preventivamente, a penetrare nell’ambiente protetto della struttura per anziani. L’angoscia che ti pervade per un'altra persona risultata essere positiva al tampone, la necessità di tenere costantemente informati i parenti sulla condizione dei loro congiunti e al tempo stesso il profondo dolore di dover comunicare la morte di un genitore sapendo che non si potrà neppure celebrare il funerale.

Purtroppo, a volte, ci si sente inermi di fronte alla consapevolezza di non avere le armi sufficienti a combattere perché non tutto dipende da chi gestisce la struttura. Non c’è stata per esempio la possibilità di verificare la salute di tutti nel momento in cui sarebbe stato necessario e avrebbe certamente dato modo di limitare i danni.

Oggi al di là di rintracciare i colpevoli di questa situazione, ritengo sia molto importante garantire vicinanza e consolazione a chi si sta prodigando più del solito e ben al di là del proprio dovere lavorativo, per i nostri cari. Si applaudono, e a ragione, i tanti infermieri e medici che negli ospedali fanno turni estenuanti. Non dimentichiamoci di rendere omaggio a quanti nelle strutture per anziani, fanno turni di 12 ore invece delle normali 6 ore. Che hanno messo da parte sé stessi, le loro relazioni familiari e le loro necessità di riposare, pur di lavorare affinché anche una sola vita in più possa essere salvata.

Oggi non è possibile celebrare le esequie dei propri cari. Questo renderà ancora più difficile elaborare il lutto. Come Chiesa e come cristiani, dovremo impegnarci, appena possibile a dare un nome a tutti i numeri che sentiamo ogni giorno dai notiziari. Già oggi possiamo ricordarli nella preghiera personale, ma penso sia estremamente importante che si possano celebrare liturgie funebri per ciascuno per poterli tumulare nel nostro cuore e tenerli li per sempre.

Grazie per l'ospitalità.

Marco Giannini

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