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OPINIONI E COMMENTI

Europa Verde critica il Pug: "L'obiettivo finale, al di là delle dichiarazioni, è il mattone"

La critica dei Verdi: "Altro consumo di suolo e urbanistica piegata alla contrattazione"

(pixabay.com)

Pubblichiamo di seguito il punto di vista di Europa Verde Forlì-Cesena sul nuovo Pug di Cesena e Montiano, contenuto in una nota giunta in redazione.

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Il Comune ha sostenuto di aver voluto privilegiare col nuovo piano (Pug) per Cesena due questioni assai rilevanti: la sua formazione attraverso una grande partecipazione dei cittadini e la centralità degli aspetti ambientali ed ecologici.

Riteniamo che entrambi questi obiettivi siano mancati, così come è del tutto inesistente la cosiddetta riduzione del consumo di suolo. I dati veri, quelli che mettono insieme nuove previsioni, aree precedentemente pianificate e fatte salve, nuove infrastrutture, nuovi insediamenti produttivi, il nuovo ospedale, nato al di fuori della pianificazione, dimostrano che la crescita della cementificazione sarà ben oltre il 3 per cento, parametro già grave, sbandierato come un successo nella propaganda regionale.

Oltre a questi aspetti è per noi urgente mettere in evidenza come la nuova legge abbia trasformato alla radice la funzione dell’urbanistica, perdendo di vista le modalità democratiche che dovrebbero presiedere alla trasformazione del territorio.

Cesena con questo Pug ha sposato fino in fondo una politica di gestione del territorio fatta di accordi operativi e accordi di programma, in poche parole di urbanistica contrattata. Certamente questo deriva soprattutto dall’impostazione data dalla Legge Regionale, ma localmente si sarebbero potute ricercare modalità autonome di gestione, senza sottoporre le scelte alla contrattazione tra privati e amministrazione, trasformando così la funzione pubblica dell’urbanistica in una questione di natura negoziale.

Neppure la tanto decantata ampia partecipazione alla formazione del Pug ha in realtà potuto incidere sulla concezione contrattuale, né ha potuto limitare, come sarebbe necessario, il consumo di suolo.

Ci si sarebbe aspettati che l’amministrazione puntasse prioritariamente alla riqualificazione del territorio già urbanizzato, rendendolo qualitativamente migliore e più attrattivo, disincentivando così l’investimento sulle aree nuove.

Uno degli elementi che più ci preoccupa è quello dell’incentivazione legata alla qualità degli insediamenti: chi stabilisce che un insediamento è qualitativamente apprezzabile rispetto a un altro, chi stabilisce che è giusto incrementare in una zona del territorio le quantità insediabili? Ci appaiono criteri del tutto arbitrari e discrezionali, che ancora una volta nulla hanno a che fare con l’urbanistica democratica.

In merito a taluni aspetti “ambientali” del Pug, esso si impegna a definire zone sottoposte a vincoli, a rischi, dissesti ma anche paesaggi e bellezze naturali, ma non fa un solo passo in avanti rispetto al 1986. Le tavole sono ancora disegnate al 25.000, quella stessa scala di rappresentazione della Regione risalente a 40 anni fa, che non consente di dettagliare e approfondire adeguatamente la conoscenza degli elementi costitutivi del territorio, al fine di proteggerli e governarli meglio.

Se si scorrono le norme con attenzione si trovano perle che dimostrano la reale distanza tra quanto viene dichiarato in favore della tutela, della sicurezza del territorio e la realtà: uno per tutti, le zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua. Ci si sarebbe potuti aspettare che nel 2023 nessuno più volesse consentire edificazioni in quelle zone fragili, delicate ed anche pericolose.

Macché! Al comma 11 dell’art 2.1.a si prevede che nelle zone di cui al secondo comma lettera b) si possano effettuare ampliamenti di insediamenti esistenti. Attenzione, non si dice “edifici”, bensì insediamenti e quindi anche lottizzazioni e simili. Purché tutto “consenta un idoneo inserimento paesaggistico e architettonico”. Perché non delocalizzare come scienza chiederebbe? Non se ne parla, basta fare edifici “bellini”. Chi decide che l’inserimento paesaggistico è idoneo? Sulla base di quali criteri?

Anche le zone di particolare interesse paesaggistico e ambientale sono luoghi di sviluppo economico e sociale, ci si possono fare ristoranti, attrezzature ricreative e di servizio al tempo libero, campeggi ecc. E ovviamente tutto si fa con accordi operativi!

Neppure i calanchi sono liberi da costruzioni: c’è sempre la possibilità di farci un bell’impianto radiotelevisivo, sistemi di trasporto dell’energia e delle materie prime, ecc.

Al di là del contenuto delle norme relative alle zone archeologiche, che appaiono, salvo qualche eccezione, sufficientemente chiare, è particolarmente rivelatrice dello spirito del piano la definizione delle “zone a rischio archeologico”. Che cosa significa rischio? L’unico che corre rischi è in genere il costruttore, per i ritardi che gli possono derivare dalla scoperta di qualche reperto. Particolarmente negativa è l’esclusione dalle verifiche preventive della sostituzione di reti infrastrutturali esistenti, come se queste potenzialmente non comportassero altri scavi, maggiori profondità degli stessi, modifiche dimensionali.

Aggiungiamo infine che, nelle zone di frana quiescenti sono comunque consentiti ampliamenti degli edifici esistenti (e questo non può che essere considerato un errore) come pure la realizzazione di opere, se non esiste un altro modo di soddisfare quell’esigenza: un criterio labile, discrezionale, che fa prevalere ancora una volta l’interesse a edificare al posto della tutela e, in questo caso, della sicurezza.

Questo esame mette in evidenza gli aspetti negativi del Pug, il cui obiettivo finale, al di là delle dichiarazioni trionfalistiche, è ancora una volta il mattone.

Cristina Mengozzi e Alessandro Ronchi, coportavoce di Europa Verde Forlì Cesena

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