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Una prof scrive: "Ti metti a correggere i compiti e ti chiedi se sai ancora desiderare l'infinito"

"Il 25 dicembre, di mattina, sto ascoltando l'omelia di un prete vigoroso, avvezzo alle provocazioni. Parla di Dio diventato uomo per salvare l’umano e del disumano a cui è condannato l’uomo senza Dio", scrive una prof

Foto archivio agensir.it

Caro direttore,

forse sarai curioso di sapere cosa c’entra il Natale con la scuola e più propriamente con dei compiti in classe di italiano. Ti rassicuro: non si tratta di lamentele della vecchia prof che non ha altro per la testa, né di un sermone sulla degenerazione dei tempi… Di una scoperta ti voglio parlare, una di quelle che alzano il sipario sulla scena che non avevi mai visto così bene.

Ma quale altro nesso si potrà mai cogliere tra scuola e Natale se non quello dell’agognata pausa sia per gli studenti che per i docenti? Eppure c’è qualcosa di più.

È vero, leggevo dei temi stancamente, senza alcun sentore di sorprese. A volte poi capita di imbattersi in imprevisti gratificanti. A volte è diverso. 

Commentando una nota poesia di Cardarelli, una studentessa scrive: “Io non provo niente rispetto al trascorrere del tempo. Per me il tempo è segnato dalla fine e dall’inizio della scuola; tutto è uguale”. Non provo niente. Tutto è uguale. Impressionante. Come una doccia fredda, un bicchiere d’acqua sulla faccia. Tutto quello che non avevo ancora capito bene è stato chiaro. L’incapacità di esprimere sentimenti ed emozioni ha un’origine definita. 

C’è un deserto affettivo che avanza. Parlo di analfabetismo affettivo, estraneità a se stessi e all’umanità degli altri. Non a caso - penso ora - sta crescendo di pari passo l'analfabetismo linguistico e culturale. I sentimenti sono confusi con brevi reazioni a impulsi, con l’istintività. Emozioni forti, scariche di adrenalina, fuochi che si consumano velocemente, svuotano la mente e il cuore, concepito solo come un muscolo che provoca tachicardia e niente più. 

Il 25 dicembre, di mattina, sto ascoltando l'omelia di un prete vigoroso, avvezzo alle provocazioni. Parla di Dio diventato uomo per salvare l’umano e del disumano a cui è condannato l’uomo senza Dio. All’improvviso ripenso alle parole della mia studentessa. Il concetto di disumanizzazione calza a pennello. Senza Dio equivale a senza il senso di se stessi, degli altri e della realtà. Tra un pc, un robot e un uomo incosciente di sé non v’è differenza? Ripasso gli sguardi dei miei ragazzi, le pieghe del loro volto, le movenze delle labbra quando mi dicono prof non so cosa dire, non so cosa pensare, non so come spiegare. 

Mi vengono in mente le parole profetiche di un vecchio sacerdote: “È come se tutti i giovani d’oggi fossero stati investiti da una sorta di Chernobyl, di enorme esplosione nucleare: il loro organismo strutturalmente è come prima, ma dinamicamente non lo è più; vi è stato come un plagio fisiologico, operato dalla mentalità dominante.

È come se oggi non ci fosse più alcuna evidenza reale se non la moda - che è un concetto e uno strumento del potere.” (Luigi Giussani, Un avvenimento di vita, cioè una storia).

Risalgono a circa 20 anni fa, ma risuonano più che mai attuali.

Oggi definirei il fenomeno come una sterilizzazione del cuore, incapace di generare desideri altri rispetto a ciò che il potere induce e soddisfa.

Tutto è disponibile, a portata di mano e di… portafogli, per quanta crisi si declami. Cosa desiderare? Di quale desiderio parliamo? I poeti e gli scrittori parlano del desiderio di felicità, di eternità, di infinito… di un desiderio familiare al sentimento di sé che in cuor suo ogni uomo per natura sente. 

Ci sono oggi montagne di detriti su quel cuore, montagne di menzogne. È difficile intercettare il grido, comprendere il male di vivere. Ci sono adulti come bambini, adolescenti perenni, incapaci di dire «Esiste quello di cui è fatto il tuo cuore! Vedi, in me, per esempio, esiste», come diceva e viveva don Giussani. E qui sta l’interessante della questione ovvero il problema non sono i ragazzi, ma gli adulti, non i discorsi, ma la vita vissuta. Non si tratta, insisto, di un incontro culturale, ma esistenziale. Tale incontro porta con sé due caratteristiche che ne costituiscono l’inconfondibile verifica: introduce nella vita una drammaticità, che consiste nel percepire una provocazione al cambiamento di sé e nel tentare un inizio di risposta, e nello stesso tempo introduce almeno una goccia di letizia, anche nella condizione più amara o nella constatazione della propria meschinità. Insomma, per usare un’altra espressione, ciò che deve accadere perché l'Io riscopra se stesso è un incontro evangelico, capace di ricostituire la vitalità dell’umano: come l’incontro di Cristo con Zaccheo”. (Luigi Giussani, Un avvenimento di vita, cioè una storia”).

Insomma, caro direttore, non si può mai stare tranquilli. Ti metti a correggere compiti e finisci per chiederti se hai ancora la capacità di avvertire il tuo desiderio, se sai ancora desiderare l'infinito. 

Ancora Buon Natale a tutti e Buon Anno.

Alessandra Tesei - Cesena

Una prof scrive: "Ti metti a correggere i compiti e ti chiedi se sai ancora desiderare l'infinito"
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