Per riflettere insieme
La proprietà privata
Non rubare vuole dire essenzialmente due cose. In primo luogo proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni degli altri. In secondo luogo, definisce la legittimità della proprietà privata dei beni materiali
Settimo: non rubare. È una frase molto usata. Molti ne conoscono la provenienza; ma qualcuno, probabilmente fra i più giovani, neppure sa che corrisponde al settimo comandamento del Decalogo. Non rubare vuole dire essenzialmente due cose.
In primo luogo proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni degli altri.
In secondo luogo, definisce la legittimità della proprietà privata dei beni materiali.
Se io non devo e non posso appropriarmi dei beni del mio prossimo, significa che lui ha il diritto di tenerli e di conservarli e io devo rispettare questo suo diritto. Allo stesso modo, se il bene è mio, gli altri devono rispettare questo mio diritto.
Il problema si pone, ma è di facile soluzione, quando andiamo a vedere a che titolo io possiedo il bene. Se me lo sono guadagnato con il mio lavoro, o se mi è stato legittimamente donato, non ci sono problemi; se invece ho fatto violenza a qualcuno oppure ho leso i diritti del mio prossimo allora la cosa cambia radicalmente. La proprietà diventa illegittima e siamo davanti ad un furto.
Il concetto di proprietà privata, pur sacrosanto, va tuttavia completato con qualche altra argomentazione. Il cuore dell’uomo desidera spesso beni e sostanze dal cui possesso ritiene di ricavare ricchezza e felicità.
Gesù, saggiamente, ci mette in guardia dall’essere vittime di questo desiderio: “Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano.” (Gv 6,19-20).
“Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8,36)
Ecco allora come usare nel modo giusto i beni terreni.
“Dio ha creato la terra e l’uomo, e all’uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (Gn 1,28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell’universale destinazione dei beni della terra” (Centesimus annus. par.31)
E il Catechismo della Chiesa Cattolica ai punti 2402 e segg. recita: “Dall’inizio, Dio ha affidato la terra e le sue risorse alla gestione comune dell’umanità. Affinché se ne prendesse cura, la dominasse con il suo lavoro e ne godesse i frutti. I beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano. Tuttavia la terra è suddivisa tra gli uomini perché sia garantita la sicurezza della loro vita… la sicurezza delle persone… il soddisfacimento dei bisogni fondamentali propri e delle persone di cui si ha responsabilità.”
L’uomo, deve considerare le cose che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che debbono giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri. La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della Provvidenza, che glielo ha affidato per farlo fruttare e spartire i frutti anche con gli altri. Si tratta di mettere in pratica il principio della universale destinazione dei beni.
Il bravo imprenditore non è quello che pensa solo a massimizzare il suo profitto, ma quello che si cura e si preoccupa delle persone che lavorano per lui e con lui, della società civile in cui vive e dell’ambiente che lo circonda.
In ossequio al settimo comandamento, avrà cura di dare la giusta mercede agli operai, nei modi e nei tempi previsti dalle leggi, di pagare puntualmente i propri fornitori, di onorare i propri debiti e di non frodare alcuno nella sua attività imprenditoriale.
Parallelamente, il bravo dipendente è quello che svolge bene il proprio lavoro e tratta i beni che gli sono affidati con onestà e correttezza.
(continua)
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