Don't Worry
Bisogna dirlo: Gus Van Sant ha un occhio tutto particolare per i personaggi per cui trova interesse. Succedeva anche ne “La foresta dei sogni”, anche se è stato un mezzo suicidio artistico. E lo fa anche in quest’ultimo “Don’t Worry”, in cui raccoglie un toccante spaccato della vita dell’artista americano John Callahan, fumettista di Portland, nell’Oregon.
La trama: come tutte le storie che sanno di una vera redenzione, anche questa volta si inizia dal punto più basso, ovvero dai problemi con l’alcol di John: vediamo la sua esistenza allo sbando, che culmina nella nottata dell’incidente che lo lascia paralizzato dalla vita in giù, dopo una notte brava con il compagno di bevute Dexter, l’uomo alla guida dell’auto.
Dexter ne esce a fortuna quasi illeso, ma non è così per John, che si risveglia al pronto soccorso. È il momento più basso per John, che riesce a trovare la forza di risollevarsi grazie all’aiuto del gruppo di alcolisti anonimi di cui entra a far parte, e in particolare di quello che sceglie come proprio sponsor, l’hippie Donnie che riesce a dargli la forza di rimettere in sesto la propria esistenza...
Joaquin Phoenix è abile a incarnare in tutte le sue sfumature, ed è ben diretto nel costruire una rappresentazione di Callahan solida e credibile, mettendo in scena un personaggio problematico per i suoi eccessi e affascinante per il cinico approccio alla realtà. Anche verso se stesso. E si presenta come una figura che trova la sua nemesi in un sorprendente Jonah Hill, magnetico nei panni di Donnie, in versione hippie e con biondi capelli lunghi.
Il film, presentato in concorso al Festival di Berlino, si presenta anche come umoristico, ma di un umorismo alto, che sa affrontare con prudenza e delicatezza anche il dramma e le difficoltà. Infine, quando si parla di Gus Van Sant (attore, fra gli altri, di “Elephant”) non si può esimersi dal parlare di tecnica. E questa volta l’elemento stilistico principale è l’uso di un montaggio frammentato eppure areoso, mascherato fra flashback e flashforward, in una rappresentazione che porta in immagine lo stile vignettistico di Callahan che faceva della disabilità e della sua presa in giro caustica l’elemento principale dei suoi lavori.
Insieme al perdono, grande e universale, che sembra alla fine coinvolgere lo stesso protagonista come il suo pubblico. Un percorso redentivo che parte dalla dipendenza per giungere alle paure più profonde dello stesso autore. Anche per questo motivo, un brivido corre lungo la pelle ripensando al legame che con John Callahan e con questo film aveva Robin Williams (al quale il film è dedicato e che per primo aveva acquisto i diritti per mettere in scena la sua biografia). Uno che da quella paura forse è stato travolto. Chissà.
Resta comunque la storia di un film singolare e sensibile, come l’anima dell’attore che ne aveva richiesto i diritti: una sensibilità che di questi tempi è già qualcosa di rivoluzionario.
Diretto da: Gus Van Sant
In programmazione: Multisala Uci Cinema (Savignano sul Rubicone)