Commento al Vangelo
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Il giorno del Signore

Domenica 14 aprile - Domenica delle Palme - anno C

Io sto in mezzo a voi come colui che serve

Lc 19,28-40; Is 50,4-7; Salmo 21; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23,56

In un momento conviviale ma saturo di sacralità, mentre Gesù esprime il suo stato d’animo profondo - “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché́ io vi dico: non la mangerò̀più̀, finchéessa non si compia nel regno di Dio”- e rende così il loro incontrarsi insieme allarmato, perché si pone come l’ultimo, quando Gesù ormai consegna gli ultimi consigli, i discepoli trovano modo di discutere, di disputare fra di loro su un argomento che lascia perplessi per la sua futilità comune, ma ancora più banalizzata nel contesto: “E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande”.

C’è di che sussultare per l’animo gretto, arrivista, rampante dei discepoli. C’è anche però di che rallegrarsi e dirsi: buon per noi, siamo in buona compagnia! Se i discepoli così vicini al Signore, così a lungo da Lui portati a conoscenza del suo Vangelo e di Se stesso, sono così meschini, non che noi ce lo possiamo permettere, ma ci sentiamo parte di quella umanità che ha proprio bisogno di essere purificata e salvata. Gesù non rimprovera, non segna a dito. Offre invece un insegnamento positivo da incarnare, da fare proprio.

L’analisi sociologica è tagliente e realista ma non si scaglia contro i “benefattori”, non li considera, vuole solo che i suoi siano diversi: “Voi però non fate così”. Non è una requisitoria, una reprimenda, è un richiamo a una prassi che deve ispirarsi a Lui e a quanto ha compiuto fra di loro. Il rovesciamento è radicale e sarebbe, ovviamente, andato contro le gerarchie costituite, ma è anche l’unico possibile per dirsi suoi discepoli: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve”.

Questa opzione costituisce e fonda una postura che scardina i benpensanti nel presente dei discepoli, anche nel presente di ogni discepolo che si susseguirà nel tempo. Bisogna apprendere a servire, a chinarsi sulle necessità altrui, perdere il proprio sussiego, la consapevolezza dell’appartenenza alla casta dirigente o comunque vincente. Consegnarsi a un’altra dimensione.

Lo sguardo non rimane fissato o bloccato su di una realtà immediata e, probabilmente, ritenuta umiliante, se non fosse stata prescelta dal Signore stesso, Gesù dona ai suoi un’altra chiave di esistenza che può, posto che lo vogliano, approdare a un futuro diverso, simile al Suo. Perseverare con Lui significa sfociare nel Regno, sedersi alla tavola del Re e giudicare, insieme e come Lui, proprio perché servendo si è salvati e si salva.

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